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Bisognerebbe poter indicare con orgoglio civile i “servitori dello Stato”. Invece nel nostro Paese si è consentito per troppo tempo di guardare a quel ruolo come un motivo di imbarazzo. È vero che il nostro Stato nazionale è nato e cresciuto storicamente con una forte contrapposizione tra “Paese reale” e “Paese legale”, è vero che ancora si coltiva una asimmetria inaccettabile tra diritti dei cittadini e diritto dello Stato, ed è vero che lo stesso sentimento nazionale è stato per troppo tempo appannaggio di chi ne ha fatto una bandiera di arroganza e non di valore, finendo per alimentare una sottile linea rossa di opposizione e di violenza anche contro le forze dell’ordine. La crisi degli Stati nazionali ha poi fornito argomenti fallaci a chi aveva esaurito le ragioni per contrapporsi alle istituzioni.

Resta il fatto che le figure di “civil servant” in Italia hanno goduto di poca ammirazione e di scarso rispetto. Si è coltivato il racconto dei “super-burocrati”, o dei “mandarini”, come se le istituzioni non avessero bisogno di “servitori” fedeli e talvolta oscuri, votati al fare più che al dire o annunciare. Gli anni recenti della politica-spettacolo, prima, e della demonizzazione della “casta”, poi, hanno fatto crescere la malapianta dell’invidia sociale e dello spirito anti-istituzionale prima ancora che anti-politico.

In Italia l’anti-politica si è abbeverata a quel fiume carsico composto da una società liquida (prima delle teorizzazioni di Bauman) e priva di valori comuni, figlia di un individualismo becero, incapace di riconoscere i fili di una storia comune, concretizzatasi nelle istituzioni civili, dai municipi alla Carta costituzionale.

Per paradosso, e per sottrarre il “civil servant” italiano alla sua funzione di “servitore dello Stato”, si è provato ad appiattirlo sulle omologhe caratteristiche di un manager privato. Quasi vent’anni fa Carlo Azeglio Ciampi sottolineava il problema: “Per quanto riguarda i dirigenti e, in generale, i funzionari dello Stato troppo spesso si è parlato, a mio avviso impropriamente, di ‘privatizzazione’ del rapporto di lavoro con la Repubblica. La contrattualizzazione degli incarichi, o il passaggio al giudice ordinario delle cause di lavoro, non possono, non debbono far venir meno un qualcosa che è nell’essenza stessa della funzione pubblica: servire la nazione, con orgoglio e con dignità. Lavorare per la comunità nazionale con responsabilità è attività che non può essere assimilata ad altri tipi di impiego. Essa implica una dedizione, uno spirito di sacrificio e di servizio che sono costitutivi della missione dello Stato”.

Lo Stato e le istituzioni hanno bisogno di servitori fedeli, “degni e orgogliosi” del loro servizio. Ma è mancato troppo spesso il riconoscimento sociale di questo preziosissimo ruolo.

Con queste parole penso – ed è inevitabile – ad Antonio Catricalà. In questi giorni si sono sprecati i peana. Per lui nessuna parola è di troppo. Ma per chi lo ha conosciuto, sa bene che per lui nulla era meno importante che “darsi importanza”. Su di lui calò, come su altri “servitori dello Stato”, la scure della rottamazione e dell’oblio, dopo il 2014, costringendolo – uso questo verbo con consapevolezza – a svolgere preziosi incarichi in aziende private prima e nella professione poi, pur avendo ambìto, con discrezione non minore dell’auspicio, a concludere la sua carriera pubblica ai vertici del Consiglio di Stato o nella Consulta.

Due traguardi legittimi che gli furono impediti dalle folate dell’anti-politica confusa con lo spirito anti-istituzionale di quegli anni.

Oggi si torna a parlare di riforma della Pubblica amministrazione. Potrebbe essere “intitolata” alla memoria di Catricalà. Accanto all’innovazione tecnologica e all’aggiornamento continuo dei dipendenti pubblici dobbiamo auspicare una riforma della burocrazia che “protegga” i burocrati, e che riconosca l’insostituibile valore del “servitore dello Stato”, prima di assistere al depauperamento di risorse umane e professionali proprio nelle funzioni di servizio allo Stato. Un rischio che si può e si deve evitare: speriamo che la luna di miele con il governo Draghi continui almeno per il tempo necessario a cancellare l’ostracismo nei confronti della stessa cultura del “civil servant”.

Una riforma della burocrazia da intitolare a Catricalà. La proposta di Mastrapasqua

Di Antonio Mastrapasqua

Oggi si torna a parlare di riforma della Pubblica amministrazione. Potrebbe essere “intitolata” alla memoria di Catricalà. Accanto all’innovazione tecnologica e all’aggiornamento continuo dei dipendenti pubblici dobbiamo auspicare una riforma della burocrazia che “protegga” i burocrati, e che riconosca l’insostituibile valore del “servitore dello Stato”. L’intervento di Antonio Mastrapasqua, manager d’azienda ed ex presidente Inps

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