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Il Muro che l’amministrazione Trump aveva ordinato di costruire per dividere gli Stati Uniti dal Messico è una di quelle decisioni su cui l’attuale Casa Bianca di Joe Biden sta tornando indietro talmente lentamente che quasi sembra andare avanti. Come con la scelta (simbolica quanto importante) di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme, il democratico sembra in difficoltà nell’invertire completamente la rotta.

I funzionari del team Biden quando parlano con i giornalisti sembrano ormai sottintendere che quel che è andato va: dicono che ci sono fondi già stanziati e in quei casi i lavori procederanno. Biden ha altresì ordinato di re-indirizzare 14 miliardi di dollari che erano stati incasellati per l’opera al Pentagono, ma la scelta è in parte simbolica in parte funzionale. Il presidente sa che è fondamentale per ogni commander-in-chief costruire un rapporto privilegiato con la comunità della Difesa. E rinfoltire il bilancio – con soldi che il team Trump aveva invece sottratto ai militari, con cui non è mai andato d’accordo – è già un buon primo passo.

Intanto due sono le notizie che raccontano questa linea a metà, magari un iniziale congelamento del progetto per riprenderlo fra un po’ (almeno per lasciarsi tempo tra l’elezione e una scelta che potrebbe far storcere il naso a parte dell’elettorato Dem, che tanto ha contestato l’opera “settaria” che invece è stata usata da simbolo da Donald Trump e dai suoi fan).

Primo: l’esercito, attraverso i Corps of Engineers (Usace, i genieri) ha iniziato a sistemare 13,4 miglia di muro che sono stati scalzati dall’erosione fluviale lungo la valle del Rio Grande. Certo, nella comunicazione gli ingegneri militari ci tengono a precisare che i lavori non significano allungare il Muro nemmeno di un centimetro e il dipartimento di Homeland Security spiega che si tratta di operazioni necessarie per proteggere le comunità che si trovano in quell’area dai danni ambientali prodotti da chi (“la precedente amministrazione”) ha costruito l’infrastruttura. Infrastruttura che però intanto non viene lasciata all’abbandono, non abbandonata all’erosione del Rio Grande, ma si procede a sistemazioni.

Secondo, alcune pratiche per gli espropri – metodo con cui il governo si prende il terreno per costruire il Muro – stanno procedendo. Politico ad aprile raccontava il caso di una famiglia di Hidalgo, in Texas, a cui il dipartimento di Giustizia (guidato dal procuratore generale democratico Merrick Garland) ha comunicato la richiesta di prendersi sei acri del loro terreno. “Sono molto, molto deluso da Joe Biden. Pensavo fosse un uomo di parola, ma a quanto pare non la sta mantenendo”, ha detto al sito Reynaldo Anzaldua Cavazos, un membro della famiglia la cui terra è stata presa.

La Casa Bianca non ha mai spiegato il motivo per cui la revisione è stata ritardata oltre il periodo di 60 giorni annunciato all’inizio della presidenza. Almeno 114 dei 140 casi in sospeso sono andati avanti in qualche modo dal 21 marzo, quando è terminato quell’ultimatum, secondo il Texas Civil Rights Project. Si tratta di una questione certamente non centrale, ma rappresentativa di una difficoltà interna per Biden: l’immigrazione. I dati recentemente comunicati di marzo parlano chiaro: mai negli ultimi due decenni negli Usa erano entrati così tanti migranti, 172mila. Una questione su cui l’amministrazione sta ricevendo critiche dai Repubblicani, chiaramente, ma soffre malcontenti anche da parte dei Democratici.

A metà aprile, la vicepresidente Kamala Harris aveva annunciato una missione impossibile: cercare insieme ai governi dell’America Centrale (Messico in primis) una soluzione alla crisi migratoria, proprio a fronte del record storico raggiunto a marzo. Il presidente Biden ha parlato degli Stati Uniti come “rifugio e faro di libertà”, annunciando l’innalzamento del tetto dei rifugiati e regole “più umane” per i minorenni (entrati solo a marzo in ventimila). Ma la questione rischia di sfuggire di mano: se da un lato c’erano state polemiche per aver mantenuto lo status quo trumpiano nei primi cento giorni (da lì l’innalzamento del tetto), dall’altro gli attacchi contro politiche troppo lasche rischiano di calcare la faglia interna con i Rep e con un elettorato più ampio che non simpatizza con l’immigrazione.

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