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Sembrano lontani i tempi di Aquisgrana, quando due sorridenti Emmanuel Macron e Angela Merkel siglavano il trattato per rafforzare l’azione bilaterale e guidare l’Unione europea. Quell’intesa ha trovato nel tempo concretizzazione soprattutto nella Difesa, tra velivolo di sesta generazione e carro armato del futuro, salvo poi incontrare ostacoli e rallentamenti. Proprio sul velivolo Fcas, l’ultima partita in ordine di tempo, tutta industriale, è andata in scenda nei giorni scorsi al Senato francese, dove la Commissione Difesa ha ascoltato i vertici di Airbus e Dassault, le due aziende che guidano il progetto, già destinatarie lo scorso anno di 150 milioni di euro per l’avvio della Fase1A, relativa al dimostratore da avere pronto entro il 2026 e comprensiva della prima divisione del lavoro.

DUE VISIONI A CONFRONTO

Una divisione del lavoro che non piace però agli attori coinvolti, almeno a sentire le due audizioni negli giro di una settimana. Per primo è stato ascoltato Eric Trappier, numero uno della francese Dassault. Più recente l’intervento di Antoine Bouvier e Dirk Hoke, rispettivamente capo delle strategia di Airbus e chief executive di Airbus Defence and Space, la divisione del gruppo franco-tedesco impegnata sui programmi militari. A confronto due diversi idee di divisione del lavoro (e sui diritti di proprietà intellettuale), che pongono lo stallo sul passaggio alla Fase1B. Dassault vorrebbe mantenere un’impronta con prime contractor, mentre Airbus vorrebbe un rapporto più equilibrato tra i soggetti industriali coinvolti, tra cui ci sono già MTU Aero Engines e la transalpina Safran per la parte motoristica, MBDA per la missilistica e l’altro big francese Thales per i sistemi. Il confronto riguarda non solo la governance generale, ma anche quella relativa ai singoli “pacchetti” del progetto, sei in tutto, tra il sistema principale, l’insieme degli assetti a pilotaggio remoto e il cloud di gestione.

QUESTIONI INDUSTRIALI

L’accordo manca, e secondo Bouvier dovrà essere raggiunto entro giugno, così da avere approvazione al Bundestag prima del rinnovo parlamentare di settembre. Airbus sembra inamovibile sulle sue posizioni, tese a vedersi attribuire il ruolo di “partner” nei vari segmenti del programma e non di mero “appaltatore”. Le rimostranze di Dassault arrivano fino in Spagna, che ha aderito più tardi al progetto e che attende di sapere il ruolo delle proprie industrie. Airbus (che ha sede anche nella Penisola iberica) punta a guidare il raggruppamento nazionale (rispetto a Indra), ma questo non piace a Dassault, che vedrebbe ridursi il proprio ruolo di un ulteriore terzo.

IL LIVELLO POLITICO

L’impressione è che solo un forte intervento politico possa sbloccare la situazione. Il problema è che, anche a quel livello, le cose non sembrano più funzionare come un tempo. A inizio febbraio, alla vigilia dell’incontro tra Angela Merkel ed Emmanuel Macron (con i rispettivi ministri di Esteri e Difesa) in vista del successivo vertice europeo, è stato il quotidiano tedesco Handelsblatt a raccontare la “crisi” del progetto Fcas. A fronteggiarci ci sono da anni l’approccio determinato di Parigi e quello più cauto di Berlino (soprattutto al Bundestag). Sempre a febbraio, ma la settimana precedente, il tema è stato al centro del colloquio, tra le ministre Florence Parly e Annegret Kramp-Karrenbauer, che non sono riuscite a superare lo stallo, convergendo di fatto sulla richiesta alla industrie a trovare un accordo. Nelle parole di Parly, tuttavia, è emersa la linea di Dassault, ovvero la richiesta di un’unica realtà leader (e responsabile) del progetto. Il tutto, a fronte delle richieste pervenute a più riprese dai capi di Stato maggiore delle Aeronautiche dei tre Paesi impegnati nel progetto, che premono per avere un dimostratore in volo nel 2026.

DIVERGENZE STRATEGICHE?

La scorsa settimana, La Tribune raccontava che “oltre al Fcas, la maggior parte dei grandi progetti di armamenti in cooperazione con la Germania è in grave pericolo”. Il quotidiano lanciava dunque il quesito: “Berlino è davvero un partner affidabile?”. La risposta era lasciata al lettore, accompagnato però da lungo elenco di programmi che, secondo i francesi, la Germania non avrebbe rispettato, dai elicotteri ai pattugliatori, dall’A400M allo spazio. L’impressione è che nel confronto finiscano anche alcune divergenze strategiche tra Parigi e Berlino, manifestate negli ultimi mesi nel dibattito tra Macron e Akk sul tema della “autonomia strategica europea”. A confronto ci sono la versione transalpina, radicale, secondo cui l’Europa dovrebbe essere indipendente dagli Usa, e quella più moderata, tedesca, per cui l’idea di un’Ue senza Nato è “un’illusione”. A febbraio, un rapporto del Parlamento francese sulla Pesco (la cooperazione strutturata permanente) spiegava che “un’Europa sovrana in termini di difesa” sarebbe “sostenuta solo dalla Francia”. Secondo i parlamentari francesi che hanno redatto il rapporto, tra i principali responsabili della “lentezza” della cooperazione strutturata permanente ci sarebbe proprio la Germania.

GLI SPAZI PER L’ITALIA

In questi scricchiolii dell’asse franco-tedesco potrebbe inserirsi l’Italia, con l’obiettivo di riequilibrare i rapporti di forza interni alla Difesa europea. La scorsa settimana il ministro Lorenzo Guerini ha avuto contatti con entrambe le colleghe. Nell’incontro a Berlino con Akk del 16 marzo, ha detto: “L’Italia contribuirà al processo di integrazione della Difesa europea, che non può prescindere da una crescente e costruttiva cooperazione tra le forze armate italiane e tedesche e tra le rispettive industrie della Difesa”. Tre giorni dopo, esprimendo insieme a Parly “soddisfazione” per la firma sul nuovo sistema di difesa aerea a medio-raggio franco-italiano (Samp/T NG), ha detto: “Il processo di integrazione della Difesa europea non può prescindere da una crescente e costruttiva cooperazione tra le Forze armate italiane e francesi e la loro cooperazione nel settore industriale, in piena sintonia”.

IL COMMENTO

Tra le righe, l’obiettivo di rafforzare entrambi i canali bilaterali. Commentando la visita di Guerini a Berlino, Alessandro Marrone dello Iai ci spiegava che “avere un rapporto sistematico con la Germania permette all’Italia di inserirsi nel duo di testa della Difesa europea, bilanciano le spinte francesi e raggiungendo un equilibrio migliore; credo che questo sia anche nell’interesse di Berlino”. Inoltre, “un asse italo-franco-tedesco è nell’interesse del nostro Paese; in questo formato trovano più spazio le posizione italiane di equilibrio, ed è questo formato che può fungere da centro di gravità per tanti altri Stati europei”. Riguarda anche il velivolo di sesta generazione, considerando che non è esclusa una futura convergenza tra Fcas e Tempest.

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