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La chiamano sindrome di Stoccolma: quando la vittima si affeziona in modo paradossale al carnefice. E lo stesso accade nella grande industria. Specialmente se a fare la parte del cattivo è la Cina. Non sono poche le imprese che, nel tentare il loro ingresso nel complesso e sconfinato mercato cinese, prima ricevono una sorta di benservito dalle autorità della Repubblica Popolare, magari sbattendo anche la porta. Ma in un secondo momento tornano al tavolo e alla trattativa. Non è un caso che il Financial Times, il più autorevole quotidiano economico del mondo, abbia dedicato un editoriale a questo strano fenomeno in atto.

Imprese che prima si scontrano con Pechino, salvo poi tornare a più miti consigli e finire per ottenere i propri scopi, almeno in parte. “Non si può negare che molte grandi aziende estere, molto spesso occidentali, in Cina si sentano come ostaggi al giorno d’oggi”, scrive il quotidiano della City. “Eppure non incolpano di tale situazione le autorità cinesi, bensì tendono ad incolpare, i media o i gruppi per i diritti umani che nei loro Paesi d’origine attaccano la Cina stessa. Insomma, non è colpa della Cina se vengono trattati male, ma di chi piuttosto tratta male il gigante asiatico. Aziende come Volkswagen, Apple, Starbucks, Nike, Intel, Qualcomm, General Motors e H&M dipendono tutte dall’enorme mercato cinese in crescita. Alla fine, nonostante il governo cinese abbia messo più volte i bastoni tra le ruote di queste imprese, una volta presa la decisione di entrare nel mercato asiatico, le stesse società hanno finito non solo per adeguarsi ai desiderata del partito ma spesso hanno agito per nome e per conto loro, sposandone le cause”.

Il punto di caduta è che per molte multinazionali non si può fare a meno del mercato cinese. Il problema però è che “non è più sufficiente tacere su violazioni dei diritti umani, pratiche commerciali sleali o interferenze politiche. Se vuoi fare soldi nella Cina moderna devi seguire la linea del partito comunista, impegnarti in ostentate dimostrazioni di fedeltà e assistere il governo nei suoi sforzi di propaganda a livello globale”. Insomma, questione di muscoli, e non solo, come afferma in questa intervista a Formiche.net l’economista Dominick Salvatore, una inarrivabile avidità cinese nel trattare.

L’ultimo caso eccellente è quello di Tesla, il primo produttore al mondo di auto elettriche, di proprietà di uno degli uomini più ricchi del pianeta, l’imprenditore sudafricano naturalizzato americano, Elon Musk. Nel corso del 2020 Tesla ha deciso di approcciare il mercato cinese, dotato di un parco auto tra i più inquinanti al mondo. Un avvicinamento cominciato nel peggiore dei modi, con il colosso delle auto elettriche finito al centro delle polemiche in Cina a inizio 2021. Perché? A scatenare il polverone è stata la plateale protesta di un cliente scontento delle auto Tesla al salone dell’auto in corso a Shanghai. Il video della protesta è poi divenuto virale sui social e ha costretto il produttore di auto elettriche a porgere le sue scuse.

Più nel dettaglio, il cliente scontento si era arrampicato su una Tesla al salone dell’auto di Shanghai in segno di protesta per la gestione da parte della società delle sue lamentele sui freni malfunzionanti, innescando una tempesta sui social media e successivo intervento di regolatori e media statali. Ed è stato in quel momento che il Partito Comunista cinese, per mezzo della piattaforma WeChat (di proprietà di Tencent) aveva cominciato a maltrattare Tesla, spiegando che il gruppo avrebbe “dovuto affrontare per lungo tempo il tormento dei suoi clienti cinesi”.

Sono passati pochi mesi e proprio pochi giorni fa, secondo fonti interne al settore e riprese da Reuters, il costruttore di veicoli elettrici, avrebbe deciso di aumentare il proprio impegno con i regolatori del continente asiatico e rafforzare il suo team che si occupa di intrattenere le relazioni con il governo cinese. Un cambiamento che mostra tutta la preoccupazione del produttore di auto statunitense a proposito delle recenti battute d’arresto in quello che dovrebbe essere il suo secondo mercato più grande. Il team, secondo le stesse fonti, ha l’obiettivo di “costruire un ambiente esterno armonioso e sostenere lo sviluppo commerciale di Tesla in Cina”. Dopo lo scontro, le carezze.

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