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Gli effetti di Draghi sulle forze politiche. Chi lo chiama trasformismo, chi ridefinizione degli obiettivi, chi solidarietà nazionale per uscire dalla più grande crisi dal dopoguerra ad oggi. Per Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos sondaggi, l’arrivo di Mario Draghi potrebbe essere l’occasione per mettere in cantina le contrapposizioni nemico/amico, spostando invece l’attenzione verso i temi, come la ripresa economica e le politiche industriali. Eppure, la svolta “europeista” di Salvini  così come la scelta di appoggiare il governo Draghi da parte dei 5 Stelle non può non avere degli effetti, al di là delle questioni di merito, sugli elettorati delle forze politiche.

Professore, il primo e più dirompente effetto di Draghi sulla politica italiana?

L’effetto Draghi è in primo luogo una sfida, alla capacità delle forze politiche italiane dopo anni di politica fondata sulla mera contrapposizione, a cercare tratti di convergenza su singoli temi. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un Paese in cui la politica si è giocata sull’asse nemico/amico, sull’avversità a qualsiasi forma di dialogo perché era bollato come inciucio, non sul confronto ma sul tifo da stadio. Ecco, la sfida di Draghi è quella di porre alle forze politiche un paradigma diverso.

Quale?

Penso a quello che l’Italia ha conosciuto dopo la seconda guerra mondiale, il paradigma che possiamo chiamare “Costituente”, che non prevede la soppressione delle differenze, né prevede la mancanza di visioni diametralmente contrapposte, ma suggerisce l’esigenza che di fronte a eventi particolari – ma più in generale nella politica – ci siano fattori di convergenza su temi importanti e strategici per il futuro del Paese che coinvolgono tutti. Le forze politiche devono impegnarsi a trovare un percorso di concertazione e condivisione della scelta.

E gli italiani, invece, come vedono il governo Draghi?

La fiducia in Draghi è altissima, ruota attorno al 75%. Ma sulla figura di Mario Draghi ci sono due aspetti da tenere presenti: da una parte c’è una pulsione a cercare il salvatore della patria che toglie le castagne dal fuoco un po’ a tutti senza richiedere un grande sforzo.

Dall’altra?

Dall’altra parte c’è la consapevolezza che questo momento abbiamo l’esigenza non di discutere e confrontarci su tutto, ma di trovare alcuni punti di condivisione per esempio su ripresa economica, sul processo di calmierazione della crisi economica post decreti emergenza, su come incentivare la nascita di nuove imprese e di conseguenza quella di nuovi posti di lavoro. Ecco, su questi temi ci si deve confrontare e trovare una convergenza, sugli asset della crescita del Paese. Ci siamo disabituati a questa idea, anche se qualcosa già è cambiato negli scorsi mesi.

A cosa si riferisce?

Ad esempio, al voto congiunto in Parlamento di alcuni provvedimenti legati alla crisi. Al Parlamento europeo i partiti che erano di opposizione a von der Leyen hanno votato il Recovery Fund.

A tal proposito, che effetti potrebbe avere la svolta europeista della Lega sul suo elettorato?

Anche su questo, abbiamo sempre una impostazione ideologica. Non è che votare il Recovery Fund voglia dire essere più europeisti e meno sovranisti. Vuol dire che pur partendo da posizioni differenti ed essendo tutti, compresi i sovranisti, dentro il Parlamento europeo, forze che hanno visioni dell’Europa differenti trovano un punto di accordo sul fatto che bisogna far ripartire l’economia, perché l’alternativa è l’esplosione della società.

Però insisto: la Lega ha votato il Recovery in Europa e appoggerà Draghi. Una ripercussione sul gradimento del partito guidato da Salvini non può non esserci…

Partiamo dai dati: l’85% degli elettori della Lega sono d’accordo con la scelta fatta da Salvini. Il 60% degli elettori di Fratelli d’Italia sono favorevoli a Draghi. Questo cosa significa? Che avremo un rimescolamento all’interno dell’elettorato di centrodestra.

Ci dica di più.

L’elettorato di centrodestra ha votato negli anni il Pdl, dopo lo scioglimento del Pdl si è suddiviso su Forza Italia e altri partiti minori. Con la crisi di Forza Italia si è trasferito in buona parte su 5 Stelle e Lega, dopo la caduta del governo gialloverde una parte degli elettori che avevano sostenuto Salvini nelle elezioni europee ha iniziato ad andare o all’astensione o a trasferirsi da Giorgia Meloni.

Un elettorato mobile, insomma.

Esatto, ma anche un elettorato che ha un’identità molto chiara che si delinea su due aspetti: un aspetto oltranzista e un aspetto di sviluppo governista. Chi ha votato per anni Pdl prima e Forza Italia dopo ha comunque l’idea di un Paese che deve avere un governo che crei economia, a prescindere dal livello di “sovranismo” che raggiunge. Quella base elettorale si andrà a ridelineare, come sta succedendo ora con una Lega in costante crescita nei sondaggi (scorsa settimana era tra il 24-24,5%, la prossima potrebbe essere tra il 25 e il 26%). Un’altra parte di elettori minoritaria si trasferirà poi su Giorgia Meloni, che in questa settimana comunque si è rafforzata. Un gioco di vasi comunicanti la cui somma, ora, è a favore della Lega.

Le altre forze politiche, invece, come stanno vivendo il passaggio dal Conte II al governo Draghi?

Partiamo dalle dinamiche relative al Partito democratico. Si è infragilito più o meno dall’inizio della crisi, e dall’inizio di gennaio ad oggi sta lasciando sul campo più o meno il 2-3% dei voti. Questo perché è il partito che più ha pagato la frattura indotta da Renzi e a cui in questo momento viene assegnata la responsabilità di un vuoto di strategia. Un partito che sta pagando il suo appiattimento sulla figura di Conte.

Il Movimento 5 Stelle, invece, perde pezzi con l’abbandono di Di Battista…

All’inizio M5S è parso la vittima dell’operazione Renzi, però a partire dall’incarico a Draghi ha iniziato a sfarinarsi, e ha perso almeno l’1-2% di consensi. Ora, la mossa di Di Battista vedremo dove porterà: se farà un proprio partito oppure se resterà l’anima critica sull’aventino. Due possibilità che genererebbero conseguenze differenti. Quello che è chiaro è che sta cambiando l’anima dei 5 Stelle.

In che senso?

Quella che era un’anima anti-casta, giustizialista, molto ambientalista, basata sulla partecipazione, sul civismo che arriva alla politica, sta diventando sempre più partito classico, al punto che si colloca come uno degli attori della governabilità dell’Italia con una sua identità e visione, posizionandosi tra le due anime polarizzanti che sono Pd e Lega.

Una sorta di partito mediatore, un po’ come la Dc?

Direi più propriamente che va ad occupare il centro, conservando alcuni degli aspetti che ne hanno caratterizzato l’identità. Un centro abbastanza affollato, peraltro, in cui ci sono Renzi, Calenda, Forza Italia, Cambiamo di Toti e tanti altri ancora. Ha assunto un tratto più orientato alla governabilità, a voler giocare un ruolo. Non ha perso la purezza, come dicono in tanti. Come diceva Nenni “A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro… che ti epura”.

Pd, M5S e LeU proseguono nell’idea di muoversi assieme. Le prospettive quali sono?

Si sta cercando di fare di Conte il nuovo Prodi, ma da questo punto di vista vedremo. Le stagioni non si ripetono, la storia non si ripete. La storia della politica italiana oscilla come un pendolo tra una spinta maggioritaria e una spinta proporzionale, mi sembra che adesso vada più verso quest’ultima.

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