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“Dopo il voto del 2018, l’Italia ha deragliato rispetto alla sua tradizionale collocazione e il suo ruolo di protagonista dell’unità europea”, spiega al Corriere della Sera, Goffredo Bettini, l’ideologo del governo giallorosso. Merito, prosegue, dell’attuale governo che ha riportato il Paese “nel suo solco storico, in sintonia con l’Europa che sta cambiando in meglio e che sta esercitando con più coraggio la sua autonomia”. L’esponente dem si lancia poi in un’analisi del populismo italiano “che ad alcuni sembrava un blocco unico” ma ora “si è spaccato in due. Tra un populismo più mite e con contenuti anche innovativi e un populismo rozzo e alleato di [Donald] Trump. I 5 Stelle sono confluiti nel campo europeista. È questo che dà fastidio a tanti”.

Che cos’è che dà fastidio? Ecco come continua Bettini (che un anno fa utilizzava una citazione di Mao Tse-tung per definire il leader di Italia Viva Matteo Renzi una “tigre di carta”): “Dà fastidio l’alleanza tra Leu, Pd e 5 Stelle. Dà fastidio [Giuseppe] Conte, che di questa alleanza è il raccordo. Dà fastidio la sua libertà da poteri vecchi e nuovi. Dà fastidio un ruolo più forte del Vecchio continente”.

Ma tutto questo a chi darebbe fastidio?

Per trovare una risposta a questo interrogativo può essere utile recuperare quanto lo stesso Bettini spiegava alcune settimane fa al Cantiere della Sinistra della Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema (un altro uomo di riferimento dell’attuale esecutivo e del presidente del Consiglio). “Abbiamo da tempo pagato il debito con gli Stati Uniti”, diceva, aggiungendo che l’Europa ha bisogno di una nuova “terzietà”.

La domanda, dunque, potrebbe trovare risposta a Washington, dove Joe Biden, pronto a rilanciare il dialogo transatlantico anche in chiave anti-cinese, si sta per insediare presso una Casa Bianca liberata da Donald Trump. Cioè da colui che, lasciando a bocca aperta la destra italiana (e forse anche Bettini), firmò il tweet benedicendo la nascita del governo giallorosso guidato da “Giuseppi”.

“A trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, l’Italia resta il sismografo più sensibile alle variazioni degli equilibri internazionali”, notava alcuni giorni fa su Twitter Giuliano da Empoli, direttore del think tank renziano Volta, commentando le vicissitudini politiche italiane e collegandole al cambio di amministrazione statunitense.

Spin renziano o realtà? Washington rimane a guardare in attesa di segnali nuovi. E con essa Berlino, come dimostra l’intervista di Lars Feld, consigliere economico della cancelliera Angela Merkel, a Repubblica. L’unica certezza è che, come raccontavamo nei giorni scorsi su Formiche.net, c’è chi sta seguendo quanto accade a Roma trattenendo il fiato e sperando che nel 2021 nessuno si muova: Pechino.

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