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È un bivio identitario, di quelli che capitano ogni trent’anni. La Cdu tedesca deve fare i conti con il dopo-Merkel, questo week-end. Più ancora del toto-nomi, che vede in campo tre grandi sfidanti, Armin Laschet, Friedrich Merz e Norbert Röttgen, c’è in ballo il Dna del più grande partito popolare europeo, architrave dell’alleanza che regge la Commissione Ue di Ursula von der Leyen. Poi la corsa al cancellierato, per colmare un vuoto da vertigine lasciato dalla più popolare figura politica europea. “La Grosse Koalition ha fatto il suo tempo, è finita”, dice a Formiche.net Marian Wendt. Trentaquattro anni, originario della Sassonia e nel Bundestag dal 2013, Wendt è una promessa del partito e un volto noto anche in Italia. È stato lui, a marzo dell’anno scorso, a coordinare gli aiuti da Berlino per il coronavirus.

Wendt, finisce un’era?

Si è già chiusa. Lo abbiamo visto dai risultati delle elezioni federali, lo vediamo con questo governo. I ministri della Spd che litigano ogni giorno con gli alleati, le distanze su tanti punti del programma, dall’immigrazione all’economia. Adesso bisogna capire se la grande coalizione sarà sostituita da un governo nero-verde.

Il suo pronostico?

Dipende da quale identità si vorrà dare il partito, e quale rapporto vorrà instaurare con il governo. Per buona parte della sua storia è stato guidato da leader di governo, da Konrad Adenauer fino a Helmut Kohl e Angela Merkel. Come accade sempre, se ti sposti agli estremi perdi il centro. E in questi anni la Cdu si è spostata molto a sinistra, verso i Verdi e i Socialdemocratici, bisogna fare un passo indietro. Ma c’è un altro problema.

Ovvero?

La Cdu non può rimanere ferma alle posizioni di venti anni fa, deve rinnovarsi. Il mondo, la società tedesca sono cambiati, rimanere ancorati agli anni ’90 può essere fatale. I sondaggi lo dimostrano. Un tempo avevamo la maggioranza dei voti federali, oggi è impensabile. Dobbiamo tornare al 45%.

Veniamo alla leadership. Un pronostico?

Dovessi scommettere, direi Friedrich Merz. Due anni fa ha perso per meno di quaranta voti con Annegret Kramp-Karrenbauer. È un candidato insidioso.

Tra Röttgen e Laschet chi ha più chances?

Direi Röttgen, ha fatto una campagna straordinaria. All’inizio nessuno gli dava credito, ora ha superato Laschet nei sondaggi. Rispetto molto il suo lavoro e credo che sia davvero in corsa per vincere.

Il bavarese della Cdu Markus Söder può farcela per il cancellierato?

Non è da escludere. Il modello bavarese, “laptops e lederhosen” (pantaloni tradizionali della Bavaria, ndr), riscuote successo. Innovazione e tradizione, internet e artigianato, europeismo e attenzione alla natura, è una combinazione riuscita.

Qual è la vera eredità di Angela Merkel?

Lascia un modo di fare politica di cui ha fatto un marchio di fabbrica. Pragmatismo e realismo uniti a forza e coerenza delle proprie idee.

Rimangono alcuni nodi da sciogliere. Come una destra estrema, quella di Afd, che viaggia in doppia cifra. La Cdu può parlarci?

Per me non ci sono dubbi, dovremmo aver imparato dalle elezioni in Turingia. Non si può cooperare con l’estrema destra così come con la sinistra radicale.

Wendt, nell’ultimo anno il suo nome è stato più volte accostato alla Lega di Matteo Salvini. È vero che vi state parlando?

La Lega è oggi il partito italiano più vecchio, governa sul territorio da decenni. Per la Cdu come per la Csu non ci sono barriere al dialogo, a patto che liberi il campo da alcune ambiguità.

Quali?

Dovrebbe essere un grande partito di centro, europeo, per le corporazioni. Senza tentennare sull’appartenenza europea o indugiare nel populismo di destra, o ancora fomentare una retorica anti-immigrazione. Apprezziamo il lavoro di mediazione di Giancarlo Giorgetti, ora servono segnali concreti. Al Parlamento europeo ancora non li abbiamo visti.

E con Fratelli d’Italia?

Con loro non c’è alcuna compatibilità possibile. Finché la Lega sarà loro alleata, il dialogo con noi rimarrà complicato. Bisogna tracciare una linea netta fra il centro e la destra estrema.

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