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L’investitura di domenica scorsa di Beppe Grillo in presenza dei 12 apostoli del movimento 5 stelle da lui convocati per assistere alla cerimonia di benedizione, nei confronti dell’ex premier Giuseppe Conte come nuovo leader dei 5 stelle, è indubbiamente un passaggio molto significativo, che dimostra solide basi da “cacciatore di teste” dell’ex comico genovese fondatore del movimento.

Anche se non è che poi ci volesse molto, per il linguaggio solito che usa Grillo, a capire, per come sostanzialmente ha operato da capo di Governo, Conte, che è “uno di noi”, in pratica, “un grillino”. Nel momento in cui sale l’immagine di cacciatore di teste e di stratega di Grillo scende invece di molto l’immagine di un altro stratega di cui nei mesi e nelle settimane scorse hanno ampiamente riferito le cronache politiche, quel Goffredo Bettini che, grazie anche a un certo provincialismo della nostra stampa, non viene solo rappresentato come super consigliere del segretario del Pd Nicola Zingaretti ma anche come dotato di grandi doti strategiche e stratega principe del PD.

Era lui che aveva individuato Conte invece come il leader e il punto di equilibrio naturale della ex coalizione di Governo. Era lui che era stato tra i primi a chiedere che fosse posta in opera la strategia, durante la crisi di governo, di sostituzione dei membri di Italia Viva coi trasformisti cercati in giro qua e là.

È lui da ultimo che aveva voluto anche in seno al governo Draghi l’intergruppo tra PD, 5 stelle e Leu in modo che rimanesse vivo il ruolo di Conte. Tutto questo perché aveva sempre visto in Conte il ruolo di un punto di mediazione tra PD e 5 stelle, di un punto naturale di equilibrio, nell’interesse del partito democratico.

Mi sembra che il fatto che Conte ora con grande naturalezza si appresti ora a dettare le sue condizioni sul ruolo e il metodo con il quale esercitare la leadership su un partito che sente come la sua casa naturale dimostri il sostanziale fallimento di tutta l’impostazione tattica e strategica del grande stratega Goffredo Bettini.

D’altronde, mi pare che non ci volesse molto a capirlo, anche per un medio analista politico come me. In tutto il corso dell’azione del governo giallorosso Conte, certamente ha esercitato l’arte della mediazione, ma è sempre stato fondamentalmente fedele ai 5 stelle che d’altronde lo avevano scelto e designato alla premiership.

Alzi la mano chi ha visto Conte avviare iniziative significative in contrasto con la posizione ideologica dei 5 stelle sul Mes sanità. E un discorso analogo vale per la giustizia. Alzi la mano chi ha visto Conte impegnato a frenare iniziative giustizialiste del suo collega e amico Bonafede che tra l’altro lo aveva inizialmente indicato ai 5 stelle come probabile presidente del Consiglio, così come avvenuto ad esempio in tema di blocco della prescrizione.

E poi Conte ha tranquillamente sempre assecondato l’ispirazione di politica economica di tipo assistenzialistico dei 5 stelle. Si contano sulle dita di una mano le spese per investimento che ci sono nei vari decreti e decreti ristori ricche di flussi di spese assistenziali, di bonus di tutti i tipi, tanto da essere esempi da manuale di bonus economy.

E poi, sempre in linea con la visione dei 5 stelle, Conte ha favorito la massima estensione della mano pubblica nell’economia, concentrando forti poteri a palazzo Chigi, tramite le Golden Share, rafforzando ad esempio, con una forte dotazione di miliardi, le nuove partecipazioni statali, grazie alla costituzione di “patrimonio destinato” in seno alla Cassa depositi e prestiti, il tutto in linea con le posizioni di politica economica più o meno consapevoli dei 5 stelle.

Una volta dunque che i pentastellati si accingono a diventare un partito moderato di governo, hanno trovato il loro leader naturale, che non dovrà fare alcuno sforzo – a parte qualche differenza di educazione e di stile – per ambientarsi, perché le linee ideali da lui seguite come uomo di governo erano sostanzialmente una sorta di nobilitazione della linea dei 5 stelle.

Il problema ora è essenzialmente del Pd, e dei suoi strateghi, o di parte di essi, che credevano di aver trovato un leader di coalizione di centro sinistra mentre con onestà intellettuale, questo leader ha scelto la sua collocazione naturale (come era ampiamente prevedibile), quello di essere il leader dei 5 stelle. Ora il Pd dovrà fare una sorta di conversione a U, ma ci sono errori che a volte in politica si pagano, anche perché, ad esempio, già i primi sondaggi vanno i 5stelle a guida Conte di circa tre punti sopra i dem.

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