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Ventisette anni fa la grande svolta. Nasceva la Destra di governo. Dopo il lungo inverno durato dal 1948, finiva la conventio ad excludendum e andava in macerie il cosiddetto “arco costituzionale” con l’ingresso del Msi/An nel primo esecutivo dal quale erano esclusi cattocomunisti, laicisti e sinistre assortite.

Il centrodestra, vinte le elezioni, per vent’anni, con alti e bassi, sarebbe stato protagonista, al di là dei risultati sui quali ogni valutazione è ovviamente ammessa, della vita politica italiana, mostrando, incontestabilmente, soprattutto da parte della componente della Destra nazionale, uno spiccato sentimento del bene comune nell’applicarsi alla gestione della cosa pubblica, mostrando peraltro una evidente tendenza riformista soprattutto in riferimento alla revisione istituzionale. Non tutto fu soddisfacente, come si sa, ma, nella compagine governativa, quella Destra non si nascose e se i risultati sperati non vennero raggiunti fu in ragione degli inevitabili compromessi coalizionali che lo impedirono.

Ventisette anni dopo assistiamo a una singolare regressione. La Destra parlamentare, di fronte all’assunzione di una responsabilità di governo che dovrebbe corrispondere alla sua natura e alla storia a cui appartiene, sdegnosa si ritrae dal partecipare a una grande opera di ricostruzione del Paese funestato dalla pandemia, dalla crisi economica e proteso a far fruttare al meglio le ingenti risorse europee, ostinandosi a chiedere le elezioni anticipate che contribuirebbero, per le modalità di svolgimento innanzitutto, ad accentuare la catastrofe.

Non darà il proprio consenso al governo di salvezza nazionale, di ricostruzione repubblicana, di solidarietà sociale presieduto da Mario Draghi, il solo oggettivamente che ha qualità superiori per potere formare una compagine di alto livello allo scopo di provare a salvare il salvabile. Lo si dica senza tema di smentita: il tentativo è autenticamente patriottico nel senso che se tutti, o la maggior parte dei soggetti politici, coopereranno nella riuscita dell’impresa, questa non potrà che essere qualificata come un atto di autentica generosità a salvaguardia del bene comune.

Chi dice di avere nel proprio Dna politico-culturale il patriottismo e si definisce, sia pur timidamente, espressione di un moderno conservatorismo, non può estraniarsi da un’operazione di difficile realizzazione il cui scopo è quello di far sentire unita la nazione nel momento di maggior bisogno. E se, come sembra, la Destra parlamentare intende, in una prova davvero inaspettata e singolare di egoismo, negare il proprio contributo dialettico e politico all’impresa più difficile che una classe politica si appresta a compiere, pone le basi per il suo suicidio morale e culturale.

Il patriottismo è il vincolo comunitario tra elementi reali che fanno parte della vita; non è escludente, ma inclusivo; non è la suprema forma dell’egoismo collettivo, ma la prova generosa di un consapevole aggregato umano conscio che la sua sovranità finisce laddove comincia la sovranità degli altri. Se la Destra dei patrioti, dunque, intende affermarsi come soggetto attivo nelle dinamiche nazionali non può che mettere da parte i suoi pregiudizi, quali che siano, e partecipare fattivamente al progetto per la cui realizzazione è stato chiamato Draghi, certamente la figura migliore per competenze, cultura di governo, capacità nel gestire crisi profonde, disinteressato al potere avendolo esercitato con senso dello Stato e del bene comune.

Patrioti i parlamentari della Destra? Non ne dubiterò fino alla prova del contrario. E la prova è qui, ora, mentre ragioniamo se far nascere un governo di salute pubblica o meno con l’apporto di un’amplissima maggioranza scevra dell’interesse di parte almeno fino a quando l’Italia non sarà stata messa in sicurezza.

Essere patrioti significa sacrificare se stessi, i propri obiettivi per un ragionevole lasso di tempo, cooperare in maniera a-ideologica alla riuscita di realizzazioni complesse, non abiurare alle proprie idee ma farle vivere possibilmente in un contesto alieno da personalismi. I moralisti francesi del Settecento dicevano che ci si ama veramente soltanto amando la Repubblica e alla fine si arriva ad amarla più di se stessi.

Le radici profonde del patriottismo sono in tante cose che riassumono la nostra identità. Basta cercarle, scansando i gadget del pensiero unico. Ma occorre anche indirizzare la ricerca verso forme che garantiscano la coincidenza del sentimento patriottico con la necessaria sovranità da ristabilire.

Le macerie che purtroppo contempliamo con dolore non autorizzano a immaginare una nuova sovranità. E soltanto questo pensiero dovrebbe scuotere le menti e le anime di chi milita a Destra. È necessario rimuoverle per ambire ad una nuova Italia nel contesto di un’Europa da ripensare, non da rinnegare posto che il nostro destino storico è in questo malmesso continente dove è fiorita la civiltà dell’armonia, della bellezza, della cultura.

Tra le tante incombenze, Draghi dovrà assumersi anche quella di restaurare, sia pure minimamente, un’accettabile idea di Stato dopo le devastazioni subite negli ultimi anni. Perché è lo Stato che con le sue leggi, la sua autorità, il suo prestigio, dà forma alla nazione, l’amalgama, le dà un aspetto unitario e comunitario.

Non vuole offrire il proprio contributo patriottico, nazionale e solidale la Destra parlamentare? Temo che la decisione di ritirarsi sotto la tenda o di limitarsi ad abbaiare alla luna finirà per perderla. O, ancor peggio, per farne una copia sbiadita del grillismo calante. Se ciò dovesse accadere avvertiremmo più forte la nostalgia dell’abbandono di quella “casa del padre” avvenuta venticinque anni fa quando gli parlamentari della destra in gran parte non erano che ragazzi entusiasti protesi verso un’avventura che s’intitolava al patriottismo intorno al quale venivano chiamate a raccolta le energie migliori della nazione. Ovviamente nessuno s’illudeva che tutte rispondessero, era pur sempre un partito che nasceva. Ma oggi, se il patriottismo ha ancora un senso, alla nazione che chiama non si può che rispondere affermativamente.

Perché i patrioti della destra non possono tirarsi indietro. Scrive Malgieri

Gennaro Malgieri spiega perché il tentativo di un governo Draghi è autenticamente patriottico nel senso che se tutti, o la maggior parte dei soggetti politici, coopereranno nella riuscita dell’impresa, questa non potrà che essere qualificata come un atto di autentica generosità a salvaguardia del bene comune. Dal quale la destra parlamentare non dovrà sottrarsi

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