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Francesco Varanini è l’autore del libro “Le cinque leggi bronzee dell’Era Digitale. E perché conviene trasgredirle”, che fra analisi e moniti, traccia il quadro delle dinamiche della nuova fase storica che stiamo vivendo. Molte sono le riflessioni che il saggio di Varanini suscita nel lettore, che viene così giustamente stimolato a porre in dubbio la presunta supremazia della macchina.

La possibilità che le nuove tecnologie sfuggano di mano (o siano già sfuggite) è il fil rouge che accompagna il suo libro. Non ci spingiamo in questa domanda fino alle teorie del post-umano e del trans-umano, ma restiamo nell’ambito del presente (IA, big data, social network). L’uso distorto del digitale può creare danni alla democrazia?

Sì. Possiamo anche dire che i danni sono già stati creati. È una realtà che abbiamo sotto gli occhi. Nel tempo presente, che chiamo Era Digitale, i cittadini sono retrocessi a sudditi subordinati alle scelte e agli spazi di libertà concessi da un sovrano. Basta l’esempio di Facebook: lì il cittadino, ridotto a utente, gode sì di spazi di libertà, ma sono solo gli spazi di libertà concessi dal Sovrano, che decide: puoi esprimerti tramite un post, attraverso un ‘mi piace’. In cambio di questa libertà condizionata, si è in ogni caso assoggettati ad una continua sorveglianza e ad una propaganda sempre più capillare. Si può eccepire che Facebook, e gli altri social network, sono spazi privati, dove il proprietario detta le regole che vuole. Ma il punto è proprio questo: ciò che abbiamo sotto gli occhi è la privatizzazione degli spazi pubblici, gli spazi dell’esercizio della vita democratica. I social sono l’esempio del luogo extraterritoriale, che sfugge alle leggi emanate secondo le regole della democrazia. In questi luoghi la nostra Costituzione non ha valore.

Quindi quali sono i principali rischi di una tecnocrazia? Ci faccia qualche esempio.

Oggi, 22 marzo, ha luogo in Italia uno sciopero di tutti i lavoratori della filiera di Amazon. Si può giudicare l’opportunità dello sciopero in modi diversi. Ma c’è nella strategia di Amazon un motivo di preoccupazione che giustifica, anzi rende necessaria una risposta sociale e politica. Un motivo che interessa tutti i manager e tutti i lavoratori: opporsi ad una organizzazione del lavoro fondata su algoritmi scritti in luoghi lontani, da tecnici chiusi nei loro laboratori, privi di interesse e di rispetto per il lavoro umano. E’ un caso esemplare. I tecnici che scrivono gli algoritmi sono lontani dai lavoratori e dai cittadini. Si sono allontanati dal loro stesso essere cittadini. Sono invece vicini agli interessi della finanza speculativa.
I tecnici digitali, in effetti, sono la componente essenziale, il nuovo collante della classe politica. Godono del potere di dominare la leva principale del potere, costituito appunto dalle tecnologie digitali. Questo è il principale rischio della tecnocrazia. Né il cittadino, né il lavoratore, né il manager, né l’uomo politico è in grado di scrivere e leggere il codice digitale, e di gestire i dati. Il tecnico digitale sì.

Il suo libro dedica un capitolo alla rivoluzione digitale in Cina. Mettendo in luce gli inquietanti usi della tecnologia che vanno a supportare e alimentare quella che potremmo definire la società della sorveglianza. Un sistema che ricorda il big brother di orwelliana memoria. C’è poca consapevolezza evidentemente tra la popolazione di quanto accade. Quando i cittadini cinesi si renderanno conto di questo controllo sarà troppo tardi per invertire il trend?

Credo che l’aspetto più preoccupante – per i cittadini cinesi, ed in prospettiva per noi, che rischiamo di avvicinarci a questa forma di governo – consista nel fatto che il popolo cinese apprezza la propria situazione. Vede gli aspetti positivi. Non vede aspetti negativi. La propaganda si appoggia su una antica cultura. I cinesi vedono nell’attuale situazione una via d’uscita dalla povertà. Sono orgogliosi della supremazia della Cina a livello globale.
In Cina assistiamo al trionfo della tecnocrazia. Lì la saldatura tra classe politicai quadri del partito, formati come ingegnerie tecnici digitali è già vicina alla perfezione.

Secondo lei la macchina è sfuggita di mano e l’uomo non ne controlla più saldamente il volante. L’Homo digitalis è contrapposto all’Homo Sapiens. Come riequilibrare questo confronto?

Il benessere di cui comunque godiamo è frutto della rivoluzione scientifica e tecnica. Scienza e tecnica sono benvenute. Ma ci sono novità che non possiamo trascurare. L’idea di sostituire in toto l’essere umano, nel pensare e nel lavorare, con macchine, è una novità dei tempi digitali. La scienza e la tecnica hanno seguito la via indicata da Cartesio e Leibniz. Ci conviene, anzi credo ci risulta necessario bilanciare seguendo il filo indicato da altri pensatori, come Spinoza. La pura ragione è pericolosa se non è bilanciata dalla saggezza.

Lei nel libro sostiene, a malincuore, che l’Era digitale ha tradito le nostre aspettative. Tutto è perduto o c’è ancora la possibilità di correggere la strada dello sviluppo? Che consigli si sente di dare ai regolatori per consegnare alle prossime generazioni una tecnologia digitale meno pericolosa per l’uomo?

Non credo si debba mai dire “tutto è perduto”. L’intera storia umana ci insegna questo.
Chi sono, chi possono essere i “regolatori”? O sono politici che non conoscono la tecnica digitale, e quindi si affidano ad “esperti” tecnici digitali, o sono tecnici digitali in prima persona. I tecnici digitali in effetti sono “regolatori”, perché scrivono nel codice digitale le regole che i cittadini sono costretti a seguire.
Ai regolatori, così come ai tecnici digitali, do un solo consiglio: tornate a sentirvi innanzitutto cittadini tra i cittadini, esseri umani tra gli esseri umani. Questo credo sia in fondo il senso del mio libro.
Qualcosa cambierà solo se prenderà corpo una nuova cittadinanza attiva, consapevole della situazione digitale.

Nel libro, lei cita le 5 leggi (negative) bronzee dell’Era digitale e poi consiglia al lettore di trasgredirle. La salvezza del cittadino, dell’umano, dell’elettore è non seguire queste regole. In questo modo ci si salva?

Per esempio, la seconda legge dice: “Preferirai la macchina a te stesso”; e la quarta dice: “Lascerai alla macchina il governo”. Credo che ognuno di noi, se ci pensa, ammetterà che subiamo una propaganda che ci spinge effettivamente a fidarci di macchine. Che ci vengono presentate come efficienti, e anche capaci di una superiore giustizia.
Credo che ognuno di noi pensa in cuor suo che è giusto rifiutare questi inviti, questo affidarci a macchine. Ma facciamo fatica ad ammetterlo, anche di fronte a noi stessi, perché temiamo di essere giudicati come luddisti, retrogradi, incapaci di accettare il progresso. Il mio libro è un tentativo di risvegliare la nostra coscienza civile, il nostro senso di responsabilità.

Nel suo libro vengono citati molti pensatori che dal 1700 a oggi si sono interrogati sulla tecnologia. Qual è l’intellettuale la cui visione è da lei preferita?

Mi limito a citare Goethe e Leopardi, ai quali faccio appello nell’introduzione e nella conclusione del mio libro.
Far loro appello è anche reazione a un modo riduttivo di intendere la “cultura digitale”. Si vuol dare ad intendere che la visione del mondo nella quale oggi siamo immersi nasce con l’anno duemila, o al massimo, andando a ritroso, con il pensiero di Alan Turing, espresso essenzialmente in due suoi articoli, il primo del 1936 e il secondo del 1950. Ovviamente non è così. Quella che chiamiamo “cultura digitale” viene da lontano. Dobbiamo risalire appunto almeno al 1700.
Goethe e Leopardi osservavano l’avvento della cultura tecnico-scientifica. Non la rifiutavano, ma sapevano leggerla in luce critica. La loro lezione quindi è del tutto valida anche oggi.
Goethe diceva: anche di fronte a leggi che sembrano sovradeterminarci, fidiamoci di noi stessi, esseri umani. “Solo l’essere umano può l’impossibile”. E aggiungeva, spiegando: possiamo distinguere, scegliere, giudicare.
Leopardi ci ammoniva: “macchine al cielo emulatrici” prenderanno sempre più spazio. Leopardi ci invita a non arrenderci a questo.

Tecnologie disruptive e rischi connessi. L'intervista a Francesco Varanini

A partire dalle interpretazioni di diversi e importanti teorici, filosofi, uomini di cultura e scienziati della tecnologia, nel libro Varanini illustra le cinque regole bronzee che caratterizzano la realtà che viviamo e che ci apprestiamo a vivere. Al centro della riflessione dell’autore l’importanza per le società moderne di comprendere nel profondo il significato intrinseco di questi cinque principi, per imparare, anche, a difendersi

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