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Nonostante le sanzioni di Trump, il mercato nero dei chip Nvidia in Cina sembra essere decisamente florido. Un’inchiesta condotta dal Financial Times rivela infatti che almeno un miliardo di dollari in processori AI realizzati dall’azienda americana è stato inviato in Cina nelle dodici settimane che hanno fatto seguito all’inasprimento dei controlli sulle esportazioni di questi chip promossi lo scorso aprile dal presidente statunitense Donald Trump. Ad essere il modello più attenzionato sarebbe il B200, uno dei chip più potenti e recenti sviluppati da Nvidia pensato per l’addestramento e l’esecuzione di modelli di intelligenza artificiale di grandi dimensioni, come quelli usati da aziende come OpenAI, Google, Meta e altri colossi del mondo tech. Il commercio in Cina di questo modello era già stato bandito dalle autorità statunitensi negli anni scorsi, ma i dati sembrano suggerire che il flusso si sia tutt’altro che interrotto. L’interesse per i chip AI non si ferma al B200. Alcuni rivenditori hanno dichiarato di aver venduto anche GB200, il prodotto top di gamma Nvidia, a un prezzo di circa 5,6 milioni di dollari per rack., mentre alcuni già pubblicizzano l’arrivo dei B300, attesi per la fine dell’anno.

Tra i principali protagonisti di questo commercio illecito individuati da Ft vi è un’azienda di Anhui il cui nome è traducibile in inglese con “Gate of the Era”. Tale azienda, creata lo scorso febbraio (in concomitanza con le prime voci sulle possibili ulteriori restrizioni poi effettivamente messe in atto da Trump), avrebbe venduto rack preassemblati contenenti otto B200, insieme a tutti i componenti e software necessari per essere collegati direttamente ai data center. Ogni rack, dal peso di circa 150 kg, veniva offerto a un prezzo compreso tra 3 e 3,5 milioni di yuan (circa 489.000 dollari), un prezzo superiore di circa il 50% rispetto ai prezzi medi negli Stati Uniti. “Gate of the Era” avrebbe ricevuto almeno due spedizioni da alcune centinaia di rack ciascuna, rivendendole direttamente o tramite distributori secondari. In totale, l’azienda e le sue affiliate avrebbero movimentato materiale per un valore complessivo di circa 400 milioni di dollari.

“Gate of the Era” risulta controllata da un gruppo omonimo registrato a Shanghai lo stesso giorno della sua fondazione, che ha come maggiore azionista la società China Century (Huajiyuan), fornitore di prodotti AI che vanta oltre 100 partner, tra cui AliCloud e Baidu Cloud. Contattata da Ft, China Century ha negato ogni coinvolgimento con i chip Nvidia e ha dichiarato di occuparsi esclusivamente di “smart city”.

Per quel che riguarda l’origine dei rack venduti in territorio cinese, molti di essi provenivano originariamente dall’azienda statunitense Supermicro, che assembla server per data center, oltre che da aziende come Asus e Dell. Tuttavia, tali aziende non son in alcun modo coinvolte con il commercio in Cina di questi prodotti, che con molta probabilità arrivano oltre-Pacifico attraverso Paesi del sud-est asiatico come Thailandia e Malesia. Il Dipartimento del Commercio statunitense starebbe valutando ulteriori controlli sulle esportazioni verso questi Paesi, soprattutto per andare a colpire gli intermediari cinesi. Ma anche l’Europa sembra si stia diventando un corridoio alternativo, con forniture già arrivate tramite Paesi non soggetti a restrizioni. Così come per il caso russo, anche per la Cina le sanzioni sembrano dunque limitare l’afflusso di merci e componenti, senza però bloccarlo completamente. Mettendo in dubbio l’efficacia dell’approccio sanzionatorio.

Il mercato nero cinese per i chip Nvidia è fiorente (nonostante le sanzioni)

La Cina elude i divieti tecnologici Usa grazie a una rete di fornitori ombra, rack preassemblati e intermediari regionali. Le sanzioni imposte non fermano il flusso di chip come il B200, al centro di un mercato parallelo da centinaia di milioni di dollari

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