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“Lo scontro fra maggioranza e opposizione che è andato in scena ieri in Parlamento (ma più in generale che anima il dibattito politico) è antitetico all’appello fatto dal presidente Sergio Mattarella e da Mario Draghi rispetto all’esigenza di costruire nuovamente l’Europa, in particolare nella difesa di Kyiv. Le baruffe romane non fanno bene al Paese”. All’indomani del premier time alla Camera, caratterizzato da toni piuttosto accesi nella contrapposizione fra Giorgia Meloni e Giuseppe Conte in particolare, oltre che la segretaria del Pd Elly Schlein, è il politologo e sociologo di UniMoRe, Massimiliano Panarari, a stigmatizzare il tenore del dibattito italiano denunciando il “perenne clima da campagna elettorale”.

Panarari, non è nuova questa dinamica nel dibattito politico italiano. Cosa sta esacerbando gli animi in questo periodo?

Ci sono una serie di fattori che concorrono a determinare questo scenario. Dopo un periodo non brevissimo in cui l’attenzione dell’opinione pubblica è stata pressoché unicamente concentrata sulle dinamiche vaticane – dalla scomparsa di Francesco all’elezione del nuovo pontefice – adesso la politica cerca una nuova centralità. Il problema vero è che lo fa, come spesso accade, alzando i toni non concentrandosi sui contenuti. In questa dinamica di scontro, registro una sostanziale corresponsabilità di maggioranza e opposizione.

Come si declina?

In termini di dibattito lo schema è abbastanza definito da un po’ di tempo a questa parte: il predominio del governo è lampante. Il premier Meloni, in particolare, spicca. In questo contesto la minoranza è in grossa difficoltà a emergere. E, fra l’altro, tra non tanto si andrà a votare in alcuni territori.

Le proiezioni di voto non sembrano delineare uno scenario completamente negativo per il centrosinistra in alcune realtà (la Toscana, in primis). Lei come la vede?

Quello sui territori è il primo appuntamento elettorale a cui i partiti guardano con un certo interesse. Per il centrosinistra è un’occasione importante che potrebbe consolidare o meno alcuni primati territoriali. Il rischio, però, è che si trasformi tutto in un regolamento di conti interno ai partiti.

Un po’ una dinamica che rischia di crearsi attorno al referendum sul lavoro o sono due partite differenti?

No, sono profondamente correlate le situazioni perché accomunate da un’esigenza della sinistra: creare attenzione attorno a questi temi con l’obiettivo di tornare a essere competitiva. L’impressione è che sarà difficile raggiungere il quorum. In ogni caso, se dovessero prevalere i sì, per Landini e Schlein sarà una vittoria che potrà servire a consolidare le leadership interne a Cgil e Pd. Quest’ultimo, peraltro, sempre più spostato a sinistra probabilmente per un preciso calcolo politico della segretaria. 

In questo modo però è difficilmente immaginabile la costruzione di un perimetro politico che possa far tornare la sinistra al governo. Quale sarebbe l’obiettivo di questo spostamento a sinistra in termini politici?

Probabilmente un idem sentire con la Cgil. Il Pd al momento è incapace di costruire una piattaforma politica appetibile per l’elettorato moderato e riformista. In questo contesto prosegue l’inutile competizione con il Movimento 5 Stelle che, pur seguendo direttrici populista, sposta per forza di cose il baricentro a sinistra. Dunque non esiste, con ogni probabilità, una reale ambizione di tornare a essere maggioranza nel Paese. Meloni può dormire sonni tranquilli ancora per un po’, benché la coalizione di governo non manchi di problematiche interne.

A cosa fa riferimento nello specifico?

L’elettorato che fa riferimento al destra-centro riesce a essere più unitario in ossequio all’impegno dei partiti della coalizione. Meloni è il punto di sintesi ma le divisioni sono lampanti. La Lega non è più capace di un rilancio nonostante la leadership di Matteo Salvini sia sostanzialmente cristallizzata. Su Forza Italia si allunga l’ombra di diverse questioni che prendono forma nelle parole di Marina Berlusconi. L’unico rischio reale per Meloni è legato alla politica estera e in particolare al rapporto fra gli Usa e l’Unione Europea. Lei si è posta come ponte nella logica di preservare l’alleanza atlantica, utilizzando come freccia al suo arco i rapporti personali con il presidente Trump. Per cui, si deve augurare che si arrivi a un accordo con l’America sui dazi. Sennò il rischio è di perdere tanta parte della credibilità politica e di indebolire la posizione italiana sullo scacchiere internazionale.

Durante il premier time di ieri, il livello dello scontro si è alzato molto quando si è iniziato a parlare di Gaza e della situazione mediorientale. È un tema che a sinistra fa ancora breccia sull’elettorato?

Quello della Palestina è un tema strutturale nella storia della sinistra dal Pci in avanti. Oggi la situazione che si registra in Medio Oriente è oggettivamente molto complessa e, in termini comunicativi, parlare di Gaza per i partiti di sinistra in chiave di attacco al governo israeliano è particolarmente congeniale.

Con il Pd più a sinistra, Meloni dorme (ancora) sonni tranquilli. Parla Panarari

Durante il premier time in aula si sono registrati toni molto accesi fra maggioranza e opposizione. Più in generale, il dibattito pubblico si è ridotto a una dimensione di campagna elettorale permanente. Referendum e voto nei territori saranno appuntamenti elettorali che serviranno alla sinistra per regolare alcuni conti interni. Ma Meloni, nonostante le divisioni della coalizione di centrodestra, può continuare a dormire sonni tranquilli. Conversazione con il politologo di UniMoRe, Massimiliano Panarari

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