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La contingenza attuale e i continui e repentini sviluppi strategici nello scacchiere globale hanno messo l’Europa di fronte a un bivio da sempre evitato: quello di dover scegliere se dotarsi o meno di un qualche tipo di architettura militare di sicurezza.

Oggi in Europa tornano ad essere attuali, dopo più di cinquant’anni, parole come “esercito comune” e “difesa comune”. Ma a difendere l’Unione Europea bastano davvero soltanto un esercito europeo e più munizioni? La risposta è naturalmente no: ad entrare in campo sono diverse variabili, e non tutte sono meramente collegate all’industria bellica e alle catene di comando in sé.

Il piano elaborato dalla Commissione Europea, ReArm Europe, oggi rinominato ufficialmente ReArm Europe/Readiness 2030, riassume perfettamente la complessità delle politiche necessarie a rendere l’Ue capace di difendersi da eventuali minacce esterne. Il dibattito è più complesso rispetto al semplice essere a favore o meno dell’aumento della spesa per l’acquisto di nuove forniture militari.

E tale complessità è stata interpretata e segnalata in modo puntuale dal governo italiano, che ha ribadito l’importanza di conciliare il riarmo con una la cosiddetta readiness termine scelto dalla stessa Commissione da affiancare a ReArm Europe. Questo termine riassume alcuni aspetti fondamentali, spesso affrontati in secondo piano rispetto al tema più intuitivo del riarmo.

Se da una parte è innegabile l’urgenza di ripensare in maniera radicale l’intero settore della difesa europea — ridurre e uniformare i sistemi d’arma in dotazione alle Forze Armate dei vari Stati membri, incrementare e sfruttare l’economia di scala per migliorare qualità e quantità delle produzioni strategiche e dei sistemi d’arma più richiesti, e infine valorizzare le SMEs, le mid-cap e le start-up europee della difesa, che rappresentano il vero valore aggiunto di una difesa comune — l’Ue si sta muovendo nella direzione giusta. Recentemente, in Parlamento Europeo si sono concluse le negoziazioni riguardo alla proposta di modifica del programma EDIP (Dedicated Programme for Defence), che per il periodo 2025–2027 metterà a disposizione 1,5 miliardi per sostenere la creazione di un’architettura europea della difesa. EDIP si affianca al programma SAFE (Security Action for Europe), che si propone di mettere a disposizione fino a 150 miliardi di fondi per incrementare e sostenere spese militari e acquisti congiunti da parte degli Stati membri.

Dall’altra parte, bisogna osservare con attenzione come la sicurezza passi anche — e soprattutto — dalla protezione delle infrastrutture energetiche, degli ospedali e del sistema sanitario degli Stati membri, delle telecomunicazioni e, non ultimo, della rete intermodale dei trasporti.

Il nuovo millennio ci ha posti di fronte per la prima volta al fenomeno delle cosiddette “minacce ibride”, ossia tutte quelle operazioni di sabotaggio e spionaggio non convenzionali e spesso difficilmente collegabili ai mandanti veri e propri. Durante le prime ore del blackout che ha paralizzato la rete elettrica della Penisola Iberica, escludere tra le cause la possibilità che ciò fosse la diretta conseguenza di un attacco informatico è stata la priorità per i governi spagnolo e portoghese.

La rete elettrica è al centro di attività di sabotaggio continue: pensiamo, ad esempio, alle attività russe e cinesi nel Baltico, che periodicamente mettono a rischio l’integrità dei cavi sottomarini che collegano i Paesi scandinavi e le Repubbliche Baltiche con il resto del continente.

Difendere l’Ue significa anche avere una strategia comune per far fronte a crisi ed emergenze sul territorio, siano esse naturali o legate a situazioni critiche come conflitti di diversa intensità, eventi di rischio batteriologico o nucleare.

In questo ambito, la chiave di volta del sistema deve essere una strategia coordinata ed efficiente di protezione civile europea, in cui gli Stati membri siano messi in condizione non soltanto di potersi coordinare, ma di garantire il massimo livello di resilienza, assistenza e protezione della popolazione civile di fronte a ogni tipo di rischio o minaccia.

Il report redatto dall’ex Primo Ministro finlandese Sauli Niinistö dimostra chiaramente e inequivocabilmente la necessità da parte dell’Ue di fare molto di più e di adottare un approccio innovativo e pragmatico. Il modello da prendere in esame è quello dei Paesi scandinavi e della Finlandia stessa, da sempre impegnata a garantire un elevato livello di informazione e formazione dei propri cittadini sui comportamenti da mantenere nelle situazioni più critiche.

In tutto ciò, l’esperienza maturata dall’Ucraina è fondamentale, ed è cruciale in quest’ottica la creazione di una task-force congiunta tra Ue e Ucraina per integrare e rafforzare la cooperazione nel campo della difesa e della protezione civile.

ReArm Europe/Readiness 2030 è la direzione giusta per un’Europa più sicura e in grado di poter difendere sé stessa e i propri cittadini. L’Ue è stata — e deve essere — un progetto di pace e prosperità economica. Oggi più che mai occorre custodirlo e far sì che il focolare della democrazia europea, per fare ciò, oltre ad alimentarlo, venga preservato da ogni possibile interferenza esterna che possa spegnerlo per sempre, e dimostrare al mondo che democrazia e pace possono continuare ad andare di pari passo.

Ineccepibile in questo senso la postura del governo italiano e del presidente della Repubblica Mattarella che sostanzialmente all’unisono hanno ribadito nella consapevolezza del dover garantire tutte le implicazioni della difesa comune come fosse necessario andare oltre lo schema del riarmo tout cour al fine di promuovere dinamiche di comunità e di pace durevole e giusta.

Nell’Europa occidentale abbiamo tutti bisogno di più saggezza e coraggio per perseguire politiche sensate e responsabili, invece di limitarci a spendere più soldi esclusivamente in munizioni e armi immaginando che sia questo il perno di una strategia di difesa.

In realtà è l’unità politica e l’implementazione del mercato unico il modo con cui noi possiamo rendere plausibile una strategia europea mirata ad accrescere più generali condizioni di sicurezza. Abbiamo bisogno di statisti e leader che pensino in grande e guardino alle generazioni future. Per quanto riguarda il futuro, vorrei citare la celebre frase di Jean Monnet che potrebbe servire da paradigma per ognuno fra questi che si atteggi a leader : “Non sono né ottimista né pessimista, sono determinato”.

La pace, la sicurezza e la prosperità nel nostro spazio di civiltà Est-Ovest sono possibili e realizzabili!

 

 

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