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L’Italia è solo 47esima nella classifica dei Paesi che più tutelano la proprietà. A certificarlo è l’International Property Rights Index 2020 (Indice internazionale sulla tutela dei diritti di proprietà 2020) che è stato presentato martedì 24 novembre dalla Property Rights Alliance, una coalizione internazionale di 118 istituti di ricerca e think tank operanti in 72 nazioni. Le nazioni analizzate dall’Indice sono 129 e includono il 94% della popolazione e il 98% del Pil mondiale.

Il nostro Paese è preceduto, oltre che dalla maggioranza degli altri Stati europei e da tutti i membri G7, anche da Rwanda, Sud Africa e Uruguay. Come è possibile che una delle maggiori economie mondiali abbia una performance così mediocre nella tutela della proprietà? La spiegazione va trovata nelle diverse componenti prese in considerazione per realizzare questa classifica.

L’Indice 2020 si basa su tre pilastri fondamentali che, a loro volta, poggiano su alcuni sotto-indicatori. In questo modo è possibile vedere dove l’Italia è carente e dove invece se la cava meglio. Il quadro che emerge è significativo: le maggiori problematiche si verificano sul piano giuridico, politico, culturale e del credito. Non è di certo una novità, ma proprio per questo è allarmante. Siamo in una fase di ristagno reiterata dalla quale il sistema non riesce ad uscire.

Osservando il ranking dell’Ipri 2020 si nota che alle prime posizioni si trovano i Paesi che producono maggiore innovazione e benessere per i propri cittadini quali Finlandia, Singapore, Giappone, Svezia, Stati Uniti etc. Questo mostra una correlazione positiva tra la tutela della proprietà intellettuale e un avanzamento economico e sociale. Nell’edizione 2020 dell’Indice particolare attenzione è stata dedicata alla questione della parità di genere. Esiste infatti una correlazione tra la riduzione del gender gap ed elevati livelli di innovazione e sviluppo economico-sociale e viceversa. Il problema persiste anche nelle nazioni più avanzate, inclusa l’Italia, ma è più evidente dove i diritti e le libertà delle donne sono limitati dalla regolamentazione o da altri fattori socio-economici.

Allo stesso tempo, seguendo anche le parole della prof. ssa Sary Levy Carciente che ha elaborato lo studio, vi sono timori circa l’impatto della pandemia sulla tutela della proprietà. Tra le raccomandazioni principali rivolte ai governi e a tutti i decisori pubblici vi è infatti quella di non mettere da parte queste istanze. Durante situazioni emergenziali che mettono sotto pressione le economie mondiali, è invece necessario proseguire la strada verso un rafforzamento delle tutele per imprese e cittadini, e remunerare gli innovatori.

Andando ad esaminare i punteggi assegnati nel dettaglio, l’Italia risulta insufficiente nella prima voce (5.5), soprattutto per quanto riguarda la stabilità politica e l’efficienza e l’efficacia della giustizia civile, oltre agli alti livelli di corruzione percepiti. Per quanto riguarda la tutela della proprietà fisica la situazione rimane stabile rispetto al 2019, dove l’aspetto migliore si conferma il sistema di registrazione dei brevetti e dei marchi (9.5). Lievi miglioramenti invece per il campo della tutela della proprietà intellettuale (circa 6.8) grazie anche alle agevolazioni derivanti dal cosiddetto patent box e a una regolamentazione che riesce a garantire in modo sufficientemente efficace i diritti delle imprese e degli “inventori”. Sempre male la difesa del copyright che riporta un punteggio di 5.7 su un massimo di 10.

Approfondendo ancora più il country profile relativo all’Italia emergono alcuni nodi critici come l’indipendenza della giustizia, valutata solamente 5/10 e la corruzione percepita. Le performance peggiori vengono fatte segnare però dall’accesso al credito, il dato peggiore in assoluto, che registra un punteggio pari a 3.3.

Rimane, infine, la questione aperta sulle carenze italiane nella tutela della proprietà, sia fisica sia intellettuale. L’economia italiana è, infatti, basata per larga parte su aziende che esportano in tutto il mondo prodotti ad alta intensità di know-how, distinguendosi spesso per il marchio made in Italy che viene apprezzato a livello globale. Veicolo principale di questa produzione ad alto valore aggiunto sono soprattutto le Pmi. Le stesse, però, che fanno più fatica a tutelare la proprietà, soprattutto quella intellettuale.

Le motivazioni di questo deficit nella protezione della proprietà intellettuale e fisica sono molteplici. Sussistono problematiche legate alla burocrazia (secondo l’ultima edizione del Bureaucracy Index 2020, le ore che un’impresa è costretta a dedicare alla compilazione di documenti, alla richiesta di certificazioni e bolli sono in totale 312 ogni anno), all’amministrazione della giustizia e anche a scelte di politica economica. In questo modo gli “inventori”, siano essi singoli o imprese, sono spinti a registrare le proprie innovazioni in quei Paesi dove la proprietà è meglio tutelata, spostando verso altri sistemi economici i benefici della loro attività creativa.

Comprendere la profondità di questi nodi è fondamentale per poter intervenire. L’Indice internazionale sulla tutela della proprietà intellettuale può essere uno strumento importante per il decisore pubblico e le imprese. Queste tipologie di analisi sono importanti anche per la ripresa economica dopo la pandemia. Abbiamo l’occasione di portare avanti strategie di ampio respiro, che includono la maggiore tutela della proprietà, e non solo mettere delle toppe su problemi molto profondi e radicati.

Tutela della proprietà. Perché c'è ancora molto da fare in Italia

Di Giacomo Bandini

L’Indice internazionale sulla tutela dei diritti di proprietà è stato presentato dalla Property Rights Alliance, una coalizione internazionale di 118 istituti di ricerca e think tank operanti in 72 nazioni. Le nazioni analizzate sono 129 e includono il 94% della popolazione e il 98% del Pil mondiale. Italia solo 47esima. L’intervento di Giacomo Bandini, direttore generale di Competere

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