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“Evitiamo che la distanza si trasformi in distanzismo”. Monsignor Vincenzo Paglia sospira corrucciato. A margine dell’evento “Laudata economia” organizzato da Formiche (qui le foto dell’evento), il vescovo, Gran cancelliere del Pontificio istituto teologico per le Scienze del matrimonio e della famiglia, confida i suoi timori per i mesi che verranno. La paura della pandemia rischia di ripiegare le persone sull’egolatria, il “culto dell’io” che esclude l’altro, specie i più bisognosi. Dai migranti ai malati fino alle donne che abortiscono, Paglia, che il ministro della Salute Roberto Speranza ha da poco nominato presidente della Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana, spiega invece perché ora più che mai c’è bisogno di “un sussulto di prossimità”. I limiti e le regole vanno rispettati, ma anche le libertà fondamentali: “Non possono restare aperte le farmacie e chiuse le chiese”.

Monsignor Paglia, i contagi aumentano, c’è chi parla di un nuovo lockdown. Quali sono gli errori da non ripetere?

Li sintetizzerei in un’unica prospettiva: non dobbiamo far prevalere l’individualismo come regola per raggiungere la felicità o lo sviluppo. Il soggettivismo è una grande conquista della modernità, il dramma avviene quando il soggetto si crede unico, quando l’io abolisce il tu e l’altro. Ha ragione Giuseppe De Rita quando sottolinea una tentazione religiosa dell’individualismo: l’egolatria, il culto dell’io sul cui altare si sacrificano anche le cose più care. In questo senso dobbiamo riscoprire il noi.

Come?

Come dimensione plurale. La diversità è una ricchezza, non un problema. Dobbiamo dirlo noi cristiani, purtroppo non l’abbiamo fatto abbastanza. Richiede l’abilità di dialogare, dialettizzare e, perché no, anche di qualche conflitto verbale, purché sia nei limiti.

Tornano le restrizioni, anche ad alcune libertà fondamentali. Quali sono le linee rosse da non superare?

Le farei indicare ai tecnici. Dobbiamo rispettare limiti e distanze. Seguire le regole è un’attenzione per sé e per gli altri. Ma non si può impedire la vita. Non possono lasciare aperte le farmacie e chiudere le chiese. Evitiamo che la distanza si trasformi in distanzismo.

Il tema dei diritti è di nuovo al centro del dibattito pubblico. È il caso dell’aborto, su cui è intervenuto il ministero della Salute con le nuove linee guida per la pillola Ru486 che ora non richiede più il ricovero in ospedale.

Parto da una premessa. Ovviamente sono contro l’aborto, senza se e senza ma. Ma aggiungo un’altra cosa fondamentale: non possiamo lasciare sole le donne. Bisogna stare vicini, anzi incollati alle donne che hanno abortito, per aiutarle. E fare in modo che non siano abbandonate di fronte a momenti magari non scelti, ma subiti. Purtroppo chi scrive le leggi spesso se ne dimentica. Serve un sussulto di prossimità.

L’enciclica “Fratelli tutti” di papa Francesco pone con forza il tema dei più deboli, a partire dai migranti. In queste settimane gli sbarchi in Italia e non solo hanno visto un’impennata. L’Europa sta facendo abbastanza?

Sta iniziando a invertire la rotta, ed è importante. A mio avviso dovrebbe accelerare il passo. L’Europa è una grande federazione di Paesi che può offrire a entrambe le sponde, destra e sinistra, quei valori di solidarietà e universalità su cui è stata fondata.

E l’Italia?

Come tanti altri Paesi europei, sta attraversando un momento di dura prova, sotto il profilo sanitario, economico, umano. Ma i più deboli non possono essere lasciati indietro. Come in qualsiasi famiglia, la mamma è attenta a tutti. Se però c’è un figlio malato, gli dà un po’ più di tempo e attenzione. Come diceva don Milani, non si può dare la stessa fetta di torta a chi ha fami diverse. Di fronte a questa nuova emergenza, c’è bisogno di uomini dal cuore pulsante. Non di un algoritmo, o una macchina.

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