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Sin dall’avvio della campagna elettorale in agosto, l’esplorazione dello Spazio è stato un tema bipartisan ma poco trattato. Appare quindi plausibile ipotizzare che qualunque sia l’esito delle elezioni vi sarà una certa continuità dei programmi in corso, seppur con probabili aggiustamenti in caso di vittoria democratica. In quest’ultima eventualità poi, l’avvicendamento dell’attuale amministratore della Nasa con una diversa personalità gradita alla Casa Bianca è da ritenersi certo.

I due candidati sembrano avere visioni diverse sull’esplorazione dello Spazio; il repubblicano lo riterrebbe un elemento al servizio della sicurezza e della leadership della nazione americana nel mondo, mentre il democratico lo inquadrerebbe più da un punto di vista scientifico e tecnologico, oltre che uno strumento al servizio dell’ambiente.

La maggior parte degli osservatori in Europa ha praticamente letto in questo modo la politica spaziale dei due candidati in una sorta di bipolarismo allineato con un mainstream mediatico che sembra raccontare la storia di un folle guerrafondaio da una parte e di un ragionevole politico dall’altra. Un’ottica con tutta probabilità errata e viziata da pregiudizi politici.

Certo, le strategie spaziali dei due candidati non sono mai state davvero dettagliate nel corso della campagna, oscurata dal Covid-19. In una sola occasione c’è stata una giostra verbale su Twitter tra Trump e Biden quando ha avuto luogo con successo la missione della capsula Dragondella SpaceX a maggio. In quell’occasione entrambi hanno rivendicato la paternità del programma Crew Commercial Program della Nasa, anche se va detto che quest’ultimo fu avviato dal presidente Bush nel 2006.

Per provare a prevedere come l’esplorazione dello Spazio Usa evolverà nei prossimi quattro anni, va esaminato ciò che è stato fatto negli ultimi quattro. È indubbio che Trump abbia posto enfasi sul settore spaziale come un vettore a sostegno della sicurezza e difesa, oltreché del prestigio e leadership dell’America.

Non che l’amministrazione Obama non avesse nei fatti sostenuto le priorità militari ma dal lato civile aveva privilegiato la leva dell’imprenditoria privata del cui ritorno d’immagine ha beneficiato poi Trump nel 2020 con il ritorno nello Spazio di astronauti americani dalla Florida. Questi ha poi mediaticamente presentato la creazione della US Space Force anche in chiave di confronto prospettico con la Cina e per controbilanciare l’aspetto squisitamente militare del progetto, ha rimodulato il programma Artemis con l’obiettivo di uno sbarco sul suolo lunare nel 2024, guarda caso l’ultimo anno di presidenza in caso di rielezione.

Ciò significa che se Biden venisse eletto le priorità di allunaggio potrebbero essere riviste ma difficilmente cancellate. Il motivo è nel forte ingaggio dell’imprenditoria privata che vede in questo progetto non solo una questione di orgoglio nazionale quanto un posizionamento commerciale nello sfruttamento di risorse extra-terrestri.

Nel corso della sua lunga carriera politica, Biden ha redatto solo sei testi di legge sullo Spazio: tre emendamenti commemorativi, due contro i test anti-satellite e uno per consentire i pagamenti alla Russia per la Stazione spaziale internazionale (peraltro queste ultime tre azioni legislative furono tutte respinte dal Congresso).

Sebbene non sia mai stato attivamente coinvolto nell’adozione di politiche spaziali, non è detto che, una volta eletto presidente, Biden non dia al settore le necessarie priorità. L’establishment militare e industriale statunitense è stato e sempre sarà uno dei più importanti “consiglieri” di qualsiasi presidente, perché la sicurezza nazionale non è materia politicamente negoziabile. Al di là delle interpretazioni ideologiche, va detto che le azioni intraprese da Trump nel suo mandato hanno portato in evidenza temi e politiche di governance che anche una diversa amministrazione non potrà ignorare.

Parliamo della componente militare (Us Space Command, Us Space Force, Space Development Agency, ecc.), o del ruolo crescente del Dipartimento del Commercio statunitense, delle funzioni strategiche e di indirizzo del National Space Council, delle nuove implicazioni del Dipartimento dell’Energia, fino alle problematiche tutte da elaborare per la gestione del traffico in orbita (si pensi alla crescita esponenziale di costellazioni satellitari con migliaia di satelliti intorno alla terra). Tutte ciò è poco noto al grande pubblico ma si tratta di temi strategici che dovranno essere affrontati dal potere esecutivo nel prossimo quadriennio, chiunque esso sia.

In termini di politica estera, sebbene molta stampa sembri rappresentare un ordine mondiale dove gli Stati Uniti siano impegnati in una deliberata strategia neo-isolazionista, la realtà potrebbe essere invece che gli Usa stiano verificando le alleanze del prossimo futuro. In fondo, sia i democratici che i repubblicani sostengono l’idea che gli Stati Uniti non saranno ancora una volta i poliziotti del mondo, quindi non bisognerebbe leggere lo slogan “America First” come un isolamento quanto piuttosto il perseguimento di un blocco geopolitico con un leader e i suoi alleati, sulla Terra come nello Spazio.

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