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“Ho capito, devo fare la parte del sovranista, populista, moderato. La interpreterò al meglio”. Ci scherza su, Giancarlo Giorgetti. Quella fama del leghista “moderato”, del consigliere saggio, è ormai un bollino di garanzia e non gli sta neanche così stretto. La prende con filosofia, da un convegno della Fondazione De Gasperi presieduta da Angelino Alfano, “ho avuto il privilegio di militare con lui in Commissione di Bilancio”, dice l’ex ministro dell’Interno e leader di Alternativa popolare. Alla presentazione dell’ultimo libro di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro, “Contro il sovranismo economico” (Rizzoli), con Giulio Tremonti, Franco Bassanini e la giornalista Maria Latella, il numero due del Carroccio coglie l’occasione per spiegare l’altra “rivoluzione liberale” di via Bellerio. Quella di una linea economica più sensibile alle istanze dei privati e liberata dallo statalismo di maniera. Anche su questo fronte, le posizioni di Giorgetti stonano un po’ con quelle dell’ala oltranzista del partito. Per dirne una, quando, all’indomani del crollo del Ponte Morandi, Claudio Borghi e Alberto Bagnai invocavano a gran voce la revoca della concessione ad Autostrade, lui invitava alla calma, “non vedo i termini”.

Due anni dopo la musica è la stessa. “La Lega, magari in modo un po’ superficiale, dice delle cose in termini di offerta politica. Nel concreto, però, c’è una cultura basata su valori che non accettano lo statalismo di ritorno. Ilva, Autostrade, posso andare avanti a lungo. Finché siamo stati al governo tutto è rimasto bloccato. Quando al governo ci è finito il Pd con il populismo di sinistra M5S, si sono rotti gli argini”. Ma il solco con il duo B&B (Borghi e Bagnai), quelli dei mini-bot e del no-euro, diventa un crepaccio quando Giorgetti arriva a spezzare una lancia in favore del “vincolo esterno” Ue, mostro a sei teste per qualsiasi sovranista doc. “Paradossalmente, il vincolo esterno che ci ha posto l’Europa ha costretto di riportare nei ranghi un certo tipo di conduzione dell’amministrazione pubblica. Lo statalismo è come la morfina somministrata al malato dopo un’operazione. Dopo qualche giorno, il malato ne chiede ancora, finché non ne sa più fare a meno. Ecco, l’Italia è un Paese geneticamente predisposto all’assistenza, allo Stato-mamma che risolve i problemi. Il rischio è che non si torni alla normalità”.

Chissà se risiede anche qui, nell’abbandono delle nostalgie venezuelane, la vera “rivoluzione liberale” della Lega che Matteo Salvini ha un po’ frettolosamente annunciato un mese fa. Giorgetti parla a tutto campo, difende le ragioni dei suoi a Bruxelles. “Ursula von der Leyen riteneva di aver sconfitto politicamente i populisti, di poter confermare una politica che andava avanti da vent’anni, basata sul divieto degli aiuti di Stato, della concorrenza, del libero mercato. Ma è stato il virus, non i populisti, a cambiare tutti i piani”. L’Europa, dice il vicesegretario, “ha perso la sua dimensione popolare”, a Bruxelles “le decisioni sono prese da una ristretta cerchia di iniziati”.

E a Roma? “Questo governo non è all’altezza, è nato per impedire il rischio che Salvini vincesse le elezioni”, sbuffa Giorgetti. “E a un governo di unità nazionale, ci crede ancora?” gli chiede la Latella. “Sarebbe bello dire unità nazionale. Lo proposi un anno fa per andare a parlare a tu per tu con i leader in Europa, mi sono illuso. Evidentemente l’interesse generale importa a pochi. Di certo non a questa maggioranza. E a qualcuno che all’opposizione preferisce cavalcare il malcontento…”.

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