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“L’Iran arriva alle elezioni Usa2020 in una condizione di attesa: osservatore speciale di certo, ma non troppo in ansia per il risultato. E questo per due ragioni sostanziali: primo perché non c’è sicurezza che il risultato delle elezioni possa modificare i termini del rapporto Teheran-Washington; secondo perché tra meno di dodici mesi la Repubblica islamica stessa andrà alle presidenziali”, Jacopo Scita, Al-Sabah doctoral fellow alla prestigiosa Università inglese di Durham, spiega così a Formiche.net il voto americano visto con la lente iraniana.

È probabile che dalle prossime elezioni presidenziali la Repubblica islamica esca piuttosto diversa da questa attuale: dopo due mandati, il presidente Hassan Rouhani, considerato portatore di istanze più moderate, sta subendo grandi pressioni interne da parte dei conservatori. È logico supporre che sarà questo interno un banco di prova fondamentale per l’Iran, più che il voto statunitense: “L’equazione è ben più complessa del solo risultato di domani”, aggiunge Scita.

“Certo, è vero che l’Iran ha sofferto molto la presidenza Trump, però è anche vero che ci sono state debacle per gli Usa, come il non essere riusciti a prolungare l’embargo Onu sulle armi. Ecco, in questo punto simbolicamente (ben più che praticamente) importante, gli Stati Uniti non sono riusciti a raggiungere gli obiettivi, mancando un consenso internazionale, è stato un successo per Teheran. Un buon risultato politico: poi quanto questo sia di valore è da vedere”. È questo il contesto secondo Scita per cui l’interesse e l’attesa per l’interesse di domani non è così esagerato.

Ma cosa succederà domani, tra Usa e Iran: cambierà qualcosa? “Da un lato abbiamo Joe Biden (il contender democratico, ndr) che annuncia che gli Usa torneranno nel Jcpoa (l’accordo sul nucleare del 2015, da cui l’amministrazione Trump è uscita nel 2018, ndr). Ma secondo me è davvero difficile. Dall’altro Donald Trump è più enigmatico: credo stia emergendo la consapevolezza che le sanzioni non si sono rivelate efficaci nel cambiare il comportamento iraniano, da qui il cul de sac da cui un Trump bis dovrà divincolarsi. Le ultime sanzioni mi sembrano andare più nella direzione di rendere più complesso e lungo un eventuale cambio di paradigma dell’amministrazione Biden, anziché essere effettivamente mirate al cambio della postura iraniana”.

Da tempo si parla della possibilità che Trump abbia usato lo stress test della massima pressione per poi avviare un processo di contatto. E l’Iran? “A Teheran la posizione ufficiale è ‘non ci interessa chi vince’, ma per tornare al tavolo di negoziato (e al rispetto del Jcpoa) vengano fatto delle riparazioni. Ma al di là di questo la posizione è complessa”, spiega Scita. Perché? “Nell’attuale amministrazione iraniana c’è una preferenza per Biden, anche se dobbiamo considerare Rouhani una lame-duck. Inoltre dobbiamo considerare che il Jcpoa si sta prendendo diverse critiche in Iran, perché l’accordo ha portato poco se non niente all’atto pratico”.

“C’è poi una valutazione: se c’è una cosa su cui gli iraniani hanno cercato di capitalizzare il più possibile è sul fatto che Trump ha ampliato la distanza tra Stati Uniti ed Europa. Su questa frattura transatlantica, che si è vista palesemente quando gli Usa sono usciti dal Jcpoa e i Paesi europei sono rimasti, Teheran ha sfruttato spazio narrativo. Ora, un Biden che si trova a ricucire quella frattura per l’Iran potrebbe significare ritrovarsi a discutere di un accordo che davanti all’Iran mette un fronte più compatto e potrebbe ampliare le questioni da inserire nella nuova eventuale intesa”, aggiunge Scita.

L’analista di Durham sostiene che sarebbe “ingenuo e idealista” pensare a un ritorno al Jcpoa così com’è, sebbene in caso di vittoria di Biden ci potrebbe essere un’idea più chiara sul ritornare a un tavolo negoziale. Con Trump le carte sul tavolo sarebbero di più, aggiunge Scita: “Non è inevitabile, ma è abbastanza chiaro che un Trump bis dovrà ragionare sul senso della massima pressione. Portala avanti per altri 4 anni rischierebbe davvero di sfociare in uno scontro su altri piani, cosa che Trump immagino voglia evitare molto volentieri”.

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