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Siamo alla seconda ondata dell’emergenza Covid. E mentre ci prepariamo ad un secondo lockdown apparentemente più soft, le corsie delle terapie intensive tornano a riempirsi in modo sempre più allarmante. E sempre in modo ancora più disperato tornano a lanciare un grido d’aiuto le categorie di medici e infermieri impegnati in prima linea per la carenza di personale sanitario vista la forte pressione sulle strutture ospedaliere.

Per il presidente nazionale del Sindacato Infermieri Italiani, Antonio De Palma, la “Campania è al primo posto assoluto per carenza di infermieri per fronteggiare l’emergenza pandemia. Tra le 10 e le 12 mila unità di professionisti della sanità mancano all’appello per fronteggiare il “nemico”. Al secondo posto la disastrata Lombardia. Segue il Piemonte”.

Di fronte a questa emergenza si raccontano sui quotidiani storie bellissime di neolaureati catapultati in corsia il giorno dopo aver discusso la tesi, medici pensionati che eroicamente non vedono l’ora di dare un loro generoso contributo.

Ma il vero paradosso riguarda l’esercito silenzioso di migliaia di infermieri e personale sanitario di origine straniera, “colpevoli” di non avere la cittadinanza italiana, di cui le nostre strutture pubbliche avrebbero un disperato bisogno, ma che per motivi burocratici rimangono oggi esclusi da una diretta assunzione negli ospedali pubblici. A denunciarlo in un’intervista a Nuove Radici Merhy Valijho, iraniana, responsabile del coordinamento infermieri di Amsi, l’Associazione dei Medici di origine Straniera in Italia.

“Non è vero che mancano infermieri e medici – racconta Valijho -. Ci sono, ma quelli stranieri non vengono considerati. Ci sono infermieri che lavorano attraverso le cooperative, che prendono 7 massimo 8 euro l’ora. Ai medici poco di più, 10 euro. Molti preferiscono andare a fare i badanti. Io stessa, con oltre 30 anni di esperienza, guadagno 1500 euro al mese. Non siamo minimamente considerati”.

Uno scandaloso spreco di competenze straniere, che vivono e lavorano da anni in Italia, ma che per una discriminazione insopportabile e inconcepibile in questa fase drammatica della nostra sanità, continuano a rimanere nell’ombra mentre potrebbero e vorrebbero essere in prima linea, valorizzati per le loro competenze alla pari dei loro colleghi “italiani”.

“Molti di noi hanno grande esperienza, ad ogni livello, maturata nei nostri Paesi di origine o qui magari da anni nelle strutture private – conclude amareggiata la rappresentante degli infermieri stranieri in Italia -. Non utilizzarci in un momento di grande difficoltà della Sanità pubblica, solo perché non abbiamo il nome italiano o la carta d’identità, è un tragico errore che l’Italia rischia di pagare duramente”.

Da qui il nostro accorato appello al ministro della Sanità Roberto Speranza e alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese affinché si individui una rapida soluzione legislativa, seppur provvisoria, nell’interesse del sistema sanitario nazionale. E che sia un passo in avanti nelle politiche di attrazione ed inclusione delle competenze straniere nel tessuto sociale, culturale e accademico italiano.

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