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L’assegnazione del premio Nobel per la pace al World Food Programme è un bellissimo segnale per la comunità internazionale. L’impegno profuso in questi anni da tanti amici nel Comitato Italia del World Food Programme ci fa accogliere con grande piacere questa notizia. Ma la soddisfazione è ancora maggiore pensando alla situazione di difficoltà in cui versa l’intero sistema di organizzazioni multilaterali, dalle Nazioni Unite all’Organizzazione mondiale del commercio, messe in crisi da nazionalismi di vario tipo e dalla tendenza a risolvere le questioni internazionali in via bilaterale o addirittura unilaterale (pensiamo all’atteggiamento dimostrato dagli Stati Uniti negli ultimi quattro anni).

È evidente, tuttavia, che sfide globali quali la lotta alla povertà e alla fame non possano essere affrontate se non attraverso sforzi comuni e coordinati. Credo dunque che il comitato norvegese del Nobel abbia fatto molto bene ad assegnare questo premio: non a un singolo individuo (una scelta che magari si sarebbe potuta rivelare divisiva considerando la difficile situazione a livello internazionale) ma a un’organizzazione molto importante, inattaccabile sia per la sua mission che per i risultati ottenuti – e ben spiegati nella motivazione ufficiale —, specialmente in una fase così travagliata per il mondo intero. La pandemia, in maniera non del tutto difforme da altri tipi di crisi globali (pensiamo per esempio a quelle di natura finanziaria), ha dispiegato i suoi effetti peggiori sulle categorie più vulnerabili, sia a livello sanitario che economico. Ecco perché l’azione del World Food Programme è stata ancora più cruciale in questa fase per far sì che la sicurezza alimentare sia uno strumento di pace. La scarsità di risorse alimentari è infatti spesso causa di conflitti, e il ruolo delle Nazioni Unite nel contrastare questo problema è estremamente significativo.

Il conferimento del Nobel per la pace al World Food Programme dovrebbe essere un motivo di vanto anche per l’Italia. L’agenzia, che fa parte della “costellazione” dell’Onu basata a Roma, costituisce uno snodo cruciale dell’architettura internazionale. Le professionalità su cui il World Food Programme può contare sono di assoluto valore, e consentono all’agenzia di affrontare non solo situazioni di emergenza come carestie o situazioni di insicurezza alimentare, ma anche di mettere in atto progetti di ampio respiro, volti a risolvere questi problemi in modo strutturale con un’ottica di lungo periodo. Basti pensare ai programmi volti ad aumentare le risorse e le competenze tecniche dei Paesi assistiti, attraverso linee di finanziamento mirate per individui e microimprese che tra l’altro evitano le migrazioni e l’impoverimento del tessuto sociale e culturale di quei Paesi.

L’Italia avrebbe le possibilità per fare di più per sostenere questa organizzazione, facendone uno degli strumenti principali su cui sviluppare le nostre attività di cooperazione internazionale. La presidenza del G20, che spetterà l’anno prossimo al nostro Paese, rappresenta un’importante occasione per rilanciare e rafforzare il multilateralismo e aumentare la resilienza del sistema internazionale a shock prodotti dall’insicurezza alimentare. Il Nobel conferito al World Food Programme può offrire un traino importante al governo e in particolare al nostro ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, non solo nella definizione dell’agenda del G20 ma anche nel raccogliere consenso e supporto dagli altri Stati membri.

Dopo questa notizia, guardiamo dunque ai prossimi mesi con maggiore ottimismo.

Perché il Nobel al Wfp è un assist per il G20 italiano. Scrive l’amb. Castellaneta

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