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A inizio luglio la Guardia di Finanza di Salerno aveva sequestrato 840 milioni di pasticche con il logo “Captagon” contenute in tre container: 14 tonnellate di metanfetamine — dal valore stimato attorno al miliardo di euro — provenienti dalla Siria. La cosiddetta “droga della jihad” inizialmente sembrava prodotta dallo Stato islamico.

Ma i dubbi erano diversi. Come spiegato da Formiche.net, “il gruppo non ha capacità tecniche (luoghi di produzione e logistica) per certe quantità, e soprattutto nel mercato della droga mediorientale ci sono realtà come Hezbollah che è più strutturata da almeno un decennio a questi affari”. E anche in questo caso si era ipotizzato un ruolo della ’ndrangheta che, come scriveva il manifesto, è “l’organizzazione criminale italiana che più si è spesa nel settore, perfino in territorio campano, perché alla camorra basta per il momento controllare il mercato della cocaina”.

Tre settimane fa la BBC ha documentato la distruzione delle pasticche raccontando, inoltre, come mentre all’inizio gli inquirenti avrebbero puntato il dito contro lo Stato islamico, al termine delle indagini si crede che la provenienza della droga sia legata al governo siriano di Bashar Al Assad e i suoi alleati libanesi di Hezbollah.

Come il regime di Damasco, anche la milizia sciita ha sempre negato ogni collegamento bollando le inchieste del Washington Post e del Jerusalem Post come “fake news” e “propaganda” degli Stati Uniti e di Israele.

Negli scorsi giorni la BBC ha riportato le dichiarazioni di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, che ha smentito nuovamente le accuse che ruotano attorno alla provenienza della droga, cioè il porto siriano di Laodicea, spesso utilizzato dal gruppo sciita filoiraniano per questi traffici. “Abbiamo contattato funzionari in Italia per risalire alle sue origini”, ha detto Nasrallah riferendosi al carico. “Le accuse non avevano fondamento nella realtà. Al contrario, stanno indagando sullo Stato Islamico (formazione ormai pressoché scomparsa, ndr), sulla mafia italiana e russa e su altre reti criminali (su cui spesso anche Hezbollah si appoggia, ndr)”. Poi ha sottolineato la netta opposizione dell’organizzazione all’utilizzo di stupefacenti provando a rafforzare la posizione di estraneità.

Gli inquirenti non commentano le dichiarazioni di Nasrallah né tantomeno le indagini, aggiunge la BBC.

A noi rimane un interrogativo, oltre a quello sull’origine della droga cui saranno le indagini a dare risposta. Attraverso che canali ha comunicato con i funzionari italiani un’organizzazione il cui ramo militare è nella black list del terrorismo (e molti sono gli appelli, anche in Italia, affinché si ponga fine a una distinzione tra il braccio politico e quello militare che neppure l’organizzazione riconosce)? Non è da escludere, spiega un funzionario italiano sotto anonimato, che l’organizzazione si sia informata e lamentata con i rappresentanti dei nostri servizi presenti in Libano. La seconda pista, invece, porterebbe alla rete di criminalità organizzata, uomini d’affari, aziende e istituti bancari di cui Hezbollah (anche passando per il Sud America) si serve per i suoi affari in Italia. Che spesso riguardano, come già raccontato su Formiche.net, droga ma anche armi e esplosivi. Basti pensare che a settembre l’ambasciatore Nathan Sales, capo dell’antiterrorismo al dipartimento di Stato americano, aveva rivelato che dal 2012 “Hezbollah ha spostato attraverso il Belgio grandi scorte di nitrato di ammonio, utilizzato per fabbricare bombe, in Francia, Grecia, Italia, Spagna e Svizzera”.

Così Hezbollah sfida la giustizia italiana sul traffico di droga

Hezbollah nega che le 14 tonnellate di droga Captagon ritrovate e bruciate nel nostro Paese provengano dall’organizzazione. “Abbiamo parlato con i funzionari italiani”, dice il leader Nasrallah. Che si spinge a sostenere che le indagini italiane virerebbero su Isis e mafia

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