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Con l’avvenuta pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale europea della lista dei nomi, diventano operative le sanzioni Ue contro i promotori delle violenze e dei brogli elettorali che hanno portato all’ennesima vittoria Aleksander Lukashenko. Le misure restrittive entrano in vigore oggi, a conclusione del Consiglio europeo, contro quaranta gerarchi del regime bielorusso a cui è stato predisposto il divieto di viaggio nell’Unione e il congelamento dei beni.

Tra questi figurano il ministro dell’Interno, Juri Khadzimuratavich Karaeu, i suoi vice, il vicecomandante delle Forze di sicurezza interna, il comandante delle Unità di risposta rapida, il direttore del Dipartimento per la sicurezza del ministero dell’Interno, il direttore del Distaccamento delle forze speciali di polizia, il direttore della Direzione per gli Affari interni, il direttore del Dipartimento di correzione penale del ministero dell’Interno. Nella black list europea ci sono inoltre svariati alti funzionari delle polizie locali e il segretario del Consiglio di sicurezza, Valery Pavlovich Vakulchik; e i vicedirettori del Comitato per la sicurezza statale (il Kgb). Inclusi anche l’ex procuratore generale e i principali rappresentanti della Commissione elettorale centrale (Cec).

“L”elenco delle persone nella lista delle sanzioni sarà costantemente rivisto e l’Ue è pronta a imporre ulteriori misure restrittive se la situazione non migliora”, in Bielorussia, ha commentato l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell, precisando inoltre che “l’Unione europea sostiene il diritto democratico del popolo bielorusso ad eleggere il proprio presidente attraverso elezioni libere ed eque”. Borrell ha poi “condannato la repressione e la violenza contro le persone che esercitano i loro diritti fondamentali”.

È la reazione europea alle elezioni presidenziali, che si sono chiuse con un risultato alterato – almeno secondo diversi osservatori e stando alle denunce dell’opposizione – e con la repressione violenta delle manifestazioni a sostegno dell’opposizione interna. La decisione di imporre sanzioni fa seguito alle conclusioni del Consiglio europeo, in cui i leader dell’Ue hanno condannato ancora una volta l’inaccettabile violenza con cui le autorità bielorusse hanno cercato di fermare i manifestanti pacifici, nonché le intimidazioni, gli arresti arbitrari e le detenzioni a seguito delle elezioni presidenziali, i cui risultati non vengono riconosciuti dall’Ue.

In Europa ha vinto una la linea ibrida che accontenta quei Paesi che intendono pressare il regime bielorusso per portare Lukashenko a intavolare un dialogo diretto con Bruxelles. Tra questi c’è la Germania, che muove sulla Bielorussia anche guardando a Mosca, unico alleato del batka di Minsk e con cui Berlino ha un contenzioso aperto che passa anche dal caso Navalny. Ma ottiene il risultato voluto, non colpire direttamente il presidente e la sua cerchia più ristretta, voluta da Parigi, che ha sempre sottolineato la necessità di non far scivolare la situazione sul piano geopolitico.

“La Bielorussia per la Russia è uno spazio vitale e il Cremlino non può permettere uno scenario-da-Maidan, ossia una caduta del presidente a causa di reiterate proteste di piazza”, ha spiegato l’ambasciatore italiano a Mosca, Pasquale Terracciano, nel suo intervento al “Transatlantic Forum on Russia Fifth Edition”, evento organizzato dal Centro studi americani. “È importante che ci sia una favorevole evoluzione di questa crisi”, ha detto Terracciano, secondo cui per Mosca la Bielorussia “è l’unico cuscinetto fra la Russia e la Nato”. “L’Unione statale fra Russia e Bielorussia che Putin sta tentando di creare – ha aggiunto – è una dei maggiori investimenti politici ed economici del Cremlino, quindi Mosca non è pronta a lasciarla andare”. Per l’ambasciatore il Cremlino l’uscita pensa a un’uscita di scena di Lukashenko, ma questa “deve avvenire attraverso una modifica costituzionale, un’elezione, e non tramite uno scenario da Maidan”.

Bielorussia, le sanzioni Ue, la piazza e Mosca

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