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Gli euro-entusiasti esultano perché al Consiglio dei ministri economici e finanziari (Ecofin, per gli amici) di ieri 6 ottobre il tentativo di mediazione “tedesco” sul Resilience and Recovery Fund (Rrf) è stato approvato a maggioranza qualificata, senza che venisse cambiata una virgola ai testi approvati dal lungo e sofferto Consiglio europeo di fine luglio. Ho molta gratitudine nei confronti del mio professore di economia Isaiah Frank che il primo giorno di classe alla School of Advanced International Studies della Johns Hopkins University ci raccomandò che “il teorema di base di tutte le discipline era di non nutrire mai illusioni”.

Di fronte ad un’approvazione a maggioranza qualificata, e con riserve oltre che dei Paesi “frugali” (Austria, Danimarca, Olanda, Svezia) e di quelli accusati di non ottemperare ai “valori europei in materia di Stato di diritto” (Ungheria e Polonia), anche dell’Irlanda, ho la netta impressione che la botte sia più mezza vuota che mezza piena e che la strada sia una salita molto irta che solo un grande alpinista come Walter Bonatti potrebbe scalare.

L’Ecofin era presieduto da Olaf Scholz, vice cancelliere e ministro delle Finanze della Repubblica Federale Tedesca, che sino alla fine dell’anno ha la presidenza dell’Unione europea. Scholz vuole naturalmente che il compromesso sul Rrf venga approvato in una nuova riunione, auspicabilmente straordinaria ed entro la prima metà di novembre. Sarebbe un successo per la Germania ed in particolare per la cancelliera Angela Merkel. Tuttavia, una approvazione ottenuta con molte riserve non assicura che il Rrf mantenga la tempistica e la consistenza delineata in luglio. Forse una strategia di graduale convincimento avrebbe maggiore successo.

“Se non lo approviamo oggi rischiamo di trovarci in una situazione difficile perché rischiamo di allungare in modo smisurato i tempi”,- avrebbe detto Scholz. “E questo potrebbe essere un grosso problema”. Il testo di compromesso, riguarda in particolare alcune questioni basilari in sospeso relative al Rrf e in particolare la sua governance e le modalità e i criteri del controllo e della verifica dei piani nazionali di riforma che gli Stati membri dovranno presentare alla Commissione per richiedere i finanziamenti. Il meccanismo, escogitato nel compromesso per venire incontro agli Stati (tra i sette ed i nove) sul Rrf quale delineato in luglio, permette a ciascuno Stato membro di chiedere di riesaminare le decisioni di attribuzione dei fondi a un altro Stato, ma non di bloccarle. Accordo all’Ecofin sul regolamento del Rrf. Ci sarebbero tempi certi e assenza di potere di veto per le procedure di pagamento, ed un anticipo del 10% sul totale delle quote del Rrf spettanti a ciascun Stato.

In effetti, come ho illustrato anche altrove, il Rrf è in una doppia trappola. Da un lato, per avere un fondo della consistenza (e della suddivisione tra prestiti e sovvenzioni) quale delineato in luglio, è necessario trasferire capacità impositiva – per imposte di scopo quali quelle sulla plastica, sulle transazioni finanziarie, sui “giganti del web”- dai singoli Stati dell’Unione all’Ue, in particolare alla Commissione: gli stessi esperti giuridici dell’esecutivo comunitario concordano che ciò richiede un accordo intergovernativo (ossia un trattato) e relative ratifiche dai Parlamenti dei 27 Stati membri. È sufficiente che qualche Stato sia ostile alla “generosità europea” verso Paesi ritenuti, a torto o a ragione, “spendaccioni” per bloccare tutto il processo o limitare il volume del Rrf (che verrebbe sorretto unicamente da un bilancio pluriennale comunitario il cui iter non si è peraltro concluso). Al momento, 7 Stati su 27 sono visibilmente contrari alla “generosità” e vorrebbero un Rrf fortemente ridimensionato. Alcuni di loro hanno promesso ai loro elettori che si metteranno di traverso.

Da un altro, il Parlamento europeo e successivamente vari Stati dell’Ue hanno sollevato il nodo dei finanziamenti a Paesi che non sembrano rispettare “lo Stato di diritto” come raffigurato dai “valori europei” quali indicati nei trattati fondanti dell’Ue. Polonia e Ungheria sono sotto accusa in materia d’indipendenza della magistratura e di libertà di stampa e reagiscono non dando il loro assenso al Rrf quale delineato a fine luglio.

Il combinato disposto di questi due elementi è che per varare il Rrf diversi Stati dell’Unione europea insisteranno per un “accordo intergovernativo”, ossia un trattato con relative ratifiche. In punta di diritto internazionale non hanno torto; anzi in alcuni Stati il trasferimento di capacità impositiva a livello internazionale o sovranazionale richiede non solo ratifica parlamentare ma anche modifiche costituzionali.

Senza un’opera di friendly persuasion (persuasione amichevole) che richiede tempo e disponibilità a fare concessioni si rischia un labirinto di alcuni anni per l’avvio del Rrf.

Un proverbio romano dice che la gatta frettolosa fa i figli ciechi. Un vecchio film di Renato Castellani ammonisce con grazie e grande perizia tecnica che i sogni possono restare nel cassetto.

Ecofin, botte mezza piena o mezza vuota? L'analisi di Pennisi

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