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Forse il centrodestra vincerà in Toscana, forse perderà: non lo sappiamo né ci inerpichiamo in previsioni, materia, come diceva Benedetto Croce, più da fattucchiere che da uomini di cultura. Comunque vada la campagna toscana resterà come un esempio interessante, un micro cosmo a cui il centrodestra dovrà guardare in futuro. Per almeno tre ragioni: la tipologia del candidato, la modalità della sua campagna ma più in generale di quella di tutto il centro destra, infine la peculiarità del territorio, molto meno anomalo rispetto al quadro nazionale ed europeo di quanto vogliano far credere gli adepti di un eccezionalismo toscano.

Senza nulla togliere ai candidati dell’alleanza conservatrice delle altre ragioni, tutti eccellenti, Susanna Ceccardi è la sola, con Francesco Acquaroli, ad essere realmente nuova. Cosa intendiamo con questo aggettivo spesso abusato e di per sé non necessariamente positivo? Non certo l’età: anche se Ceccardi è la più giovane, probabilmente conosce il famoso detto di un grande toscano come Amintore Fanfani, che si può essere bischeri anche da giovani – ma bischera l’eurodeputata non è. Con nuovo intendiamo qui non più appartenente alla stagione berlusconiana. Importante, fondamentale, fondativa, ma irrimediabilmente finita, propria di un’altra epoca della storia della destra e dei conservatori: che non tornerà più, come la stagione dell’amore di una canzone di Battiato.

Ceccardi rappresenta appieno invece l’impostazione sovranista nel nuovo centrodestra, a cominciare dal percorso politico di rottura ma soprattutto dal cambio di constituency: mentre in Toscana il centrodestra berlusconiano era un blocco borghese, Ceccardi è invece ora la candidata dei ceti popolari e della classi medie impoverite (tra cui anche i piccoli medi imprenditori) contro l’oligarchia e il ceto della intellighentsia, lì necessariamente rossa. Il suo stile comunicativo è tipicamente populista, di un populismo però diverso da quello originario del berlusconismo.

Al tempo stesso, Ceccardi, Salvini ma mi pare anche i candidati di Fratelli d’Italia, stanno conducendo una campagna molto più sagace e sottile di quella selvaggia e anti sistema che qualcuno si attendeva da loro. Non vogliamo certo scrivere, come superficialmente fatto da alcuni giornali, di un Salvini diventato moderato solo perché si sarebbe rifiutato di lanciarsi da un paracadute. La questione è più seria; a noi pare di vedere nella condotta dei candidati in Toscana del centrodestra un giusto amalgama tra campagna polarizzatrice e campagna inclusiva.

Ci spieghiamo. Oggi la politica è polarizzazione: vinci che chiarisci quale sia la tua identità granitica e se ti contrapponi a un avversario, da cui tutto si separa, a cominciare dai valori. Le rincorse al centro appartengono al passato, come si vede nella campagna presidenziale americana, che è destra (Trump) contro sinistra (Biden). Al tempo stesso, la sola polarizzazione non basta più, come ha dimostrato il caso emiliano. Accanto alla rivendicazione della propria identità contro quella dell’avversario, bisogna convincere che il proprio sistema di valori è quello della maggioranza degli italiani, anche di coloro che si riconoscono nel proprio avversario. Tutt’altro che semplice trovare la ricetta che amalgami polarizzazione e inclusione, ma a me pare che la campagna del centrodestra in Toscana vada in questa direzione. Se non altro per il contesto: Zaia e Totti sono incumbent, quindi devono muoversi più verso l’inclusività, mentre Caldoro e Fitto hanno già occupato il posto che ora contendono e quindi conviene loro apparire come una forza tranquilla. Ma soprattutto la Toscana, come le Marche in misure minore, incarnerebbe il muro rosso, la terra in cui la destra si muove in partibus infedelium.

Sarà però vero che la Toscana rappresenta il muro rosso? Se con rosso si intende uno scenario analogo a quello di molte circoscrizioni laburiste e operaie da sempre passate ai conservatori, come qualche mese fa in Uk, in Toscana esso è caduto da tempo: altrimenti solo per citare un caso, il sindaco di Piombino non sarebbe di Fratelli d’Italia. Il confronto con l’Emilia-Romagna è infatti fuorviante. Mentre lì quasi tutti i municipi erano rimasti in mano alla sinistra, in Toscana solo Firenze, Lucca, Livorno sono al Pd, gli altri tutti al centrodestra, a parte Carrara ai 5 Stelle.

Ma è l’avvicinamento tra le due regioni a essere storicamente fuorviante: l’Emilia-Romagna è di fatto costituita da due aree diverse, entrambe rosse da sempre, ma in maniera spesso non compatibile, la Toscana decisamente meno: qui la cultura e diremmo l’antropologia socialista e poi comunista si sono implementate assai meno e la Toscana ha offerto alla storia d’Italia assai più sul versante del liberalismo, soprattutto nel Risorgimento e primi decenni dell’Unità, del cattolicesimo politico, dell’anarchismo, per non parlare del fascismo – che non sarebbe quello che è stato senza l’elemento toscano.

Insomma l’eccezionalismo rosso toscano è cosa probabilmente più recente, un mito che certo si materializza in pesanti legami tra istituzioni, partiti, cooperative, sindaci, imprese, sul piano del consenso equivalenti a decine di migliaia di voti per la sinistra e proprio per questo difficile da scalfire; ma è insomma molto meno innervato nell’immaginario di quanto non sia in Emilia-Romagna.

Anzi, i problemi che il centrodestra si trova ad affrontare in Toscana sembrano essere quelli dell’interno Paese o perlomeno del centro-nord: le questioni della criminalità e dell’organizzazioni, i tagli degli enti locali, la difficoltà delle imprese, gravate dalle tasse. Senza andare a rimestare un passato in molto casi inesistente e del tutto inventato, l’intreccio tra polarizzazione ed inclusione che Ceccardi, Salvini e tutti i candidati del centrodestra offrono in Toscana dovrà diventare un esempio al di là del risultato, per campagne future, comprese quelle nazionali.

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