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Incomprensibile. È l’aggettivo che l’ex direttore del Sole 24 Ore ed editorialista di Repubblica, Stefano Folli, utilizza per spiegare il tentato accordo M5s-Pd sulle regionali, la presa di posizione sul referendum di Bettini (principale fautore dell’alleanza giallorossa), e le scelte politiche del Pd. Il partito guidato da Nicola Zingaretti è conscio che il 20 settembre non si voterà solo per rinnovare i consigli regionali, osserva, ma anche per una resa dei conti interna. Le urne come un congresso che non si terrà. “Le parole di Draghi? Un messaggio che tocca il governo”.

L’appello di Conte per le regionali è stato ignorato per mancanza di fiducia o per calcolo elettorale?

Perché arrivato tardi e nella scia di un accordo, già di per sé debole, di cui non ho ben compreso il senso. Se si trattava di una intesa strategica tra due forze avrebbe dovuto contenere anche degli accordi precisi sulle candidature alle regionali. Se si trattava molto più semplicemente di un colpo di immagine, allora non è un accordo strategico ma solo un modo per stare sulla scena e irrobustire una proiezione mediatica. Io punterei sulla seconda ipotesi. Conte ha parlato come se volesse suggellare un accordo strategico che in realtà non c’è.

Dunque cosa hanno rappresentato le sue parole?

Il suo appello si è scontrato con le questioni interne del M5S, ancora irrisolte. È tutto un gioco degli equivoci: magari le regionali potrebbero anche andare bene per le forze della maggioranza, al momento nessuno può dirlo. Ma l’idea di costruire una specie di camicia di forza che comprendesse le Regioni avrebbe avuto bisogno di una forza politica enorme che al momento nessuno ha, né Conte, né Zingaretti, né Di Maio. Era ovvio sin dall’inizio che l’appello di Conte non avrebbe portato risultati.

Le regionali saranno il congresso del Pd?

Ogni appuntamento elettorale è anche una resa dei conti interna e il Pd ne è consapevole. Le urne saranno il congresso che non si terrà, ecco perché il Pd è così preoccupato da aver cercato l’intesa coi grillini anche su altri terreni, ma senza ottenere nulla di significativo. Mi riferisco ad esempio alla legge elettorale.

Chi è in vantaggio, anche in vista degli equilibri verso il nuovo Colle, tra i governisti filo grillini (tesi Bettini) e chi mal digerisce la mescolanza giallorossa?

La questione dovremmo porcela dopo il 20 settembre, adesso vedo un partito molto incerto e senza una linea politica chiara. Avendo sullo sfondo il tentato accordo col M5S, mi chiedo dove siano le linee programmatiche dei dem e quale sia la visione del Paese. Le parole di esponenti di rilievo, come l’ex governatore della Toscana secondo cui va corretto l’assistenzialismo dei grillini e secondo cui il Pd si dovrebbe distinguere attraverso i contenuti, temo siano alla fine solo delle buone intenzioni. Non vedo esattamente come tutto ciò possa poi tradursi in fatti.

Anche sul referendum non c’è stata chiarezza: come mai?

La questione, sostanziale, è stata fino ad ora gestita in maniera incomprensibile. Il Pd ha votato sì dopo aver votato per tre volte no. Per cui in teoria adesso dovrebbe essere favorevole al taglio dei parlamentari, ma mi sembra che non stia facendo granché per sostenere questa posizione. All’interno dei dem è noto che ci sono parecchie voci contrarie: un punto del genere, di eccezionale portata, andava ben chiarito, visto che si è proposto un patto di unità e di azione. Non è stato Bettini, fautore dell’alleanza giallorossa, lo scorso 1 agosto a dire che senza una seria riforma elettorale il sì al referendum è una minaccia per la democrazia? Qualcuno dovrebbe spiegarmi perché una legge costituzionale, definita da Bettini potenzialmente una minaccia alla democrazia, potrebbe essere corretta dalla legge ordinaria che qualsiasi maggioranza poi potrebbe cambiare. C’è qualcosa di incomprensibile in tutta questa vicenda, se non il fatto che si è trattato di una mossa tattica dettata dal timore di perdere le regionali.

Vede il rischio di una slavina il 20 settembre?

Se le cose dovessero andare molto male è impensabile che non vi siano effetti sul governo: di questo è consapevole anche il premier. Penso inoltre che la Puglia sarà l’ago della bilancia: se Emiliano dovesse perdere allora ci saranno conseguenze.

Che peso sta avendo in questo risiko la diarchia Zingaretti-Conte?

Zingaretti per certi aspetti ha bisogno di Conte e Conte di Zingaretti. Tutto ciò regge se regge l’assetto politico generale. Se esso dovesse essere messo a rischio dal risultato del voto, allora anche il primo cambierà volto. Il destino dei due è collegato anche a quello referendum: se dovesse vincere il no lo scossone sarebbe molto forte.

Le parole di Draghi al meeting di Cl indicano solo una traccia programmatica o anche una presa di posizione?

Non è un passo verso una candidatura di Draghi, che invece ha tenuto un profilo molto alto alludendo al ministero europeo dell’economia. Certo quelle parole hanno rappresentato un messaggio che tocca il governo.

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