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“Ben venga che il Movimento Cinque Stelle finalmente diventi un partito. Purché non dia a noi lezioni su riformismo e democrazia”. Enrico Borghi, piemontese, deputato del Pd e componente del Copasir, lo dice da un pezzo: un conto è un’alleanza di governo, un altro è voler fare di Pd e Cinque Stelle un unico, grande polo. Magari sotto la guida di Giuseppe Conte, che qualcuno ha incoronato leader dei progressisti, senza chiedere ai progressisti cosa ne pensassero.

Borghi, Beppe Grillo è tornato e vuole celebrare il matrimonio giallorosso. Lei si presenta al banchetto?

Premesso che tifo per il Torino, e ho il sangue granata, declino gentilmente l’invito. Ognuno fa il suo mestiere, il Pd dovrebbe fare il suo. Non rimanere fermo in attesa che gli altri cambino.

Sembra che gli altri stiano cambiando davvero. C’è chi dice che il Movimento vuole diventare partito.

Se i Cinque Stelle hanno deciso di fare i conti con la fine del modello populista è una buona notizia. In una democrazia matura esistono i partiti. In loro assenza, restano i plebiscitarismi e, sullo sfondo, le dittature. Io dico però: non rimaniamo immobili, prendiamo noi l’iniziativa. Sarebbe paradossale ricevere da loro lezioni di riformismo.

Insomma, rivendicate un copyright.

Se non ricordo male un secolo fa un signore, un certo Antonio Gramsci, spiegava che egemonia culturale significa compiere azioni che convincano gli altri. E, se la memoria mi assiste, sosteneva che quell’egemonia fosse nelle corde della sinistra. I grandi temi che abbiamo seminato durante il Conte 1, dalla centralità del Parlamento al superamento delle corporazioni, stanno tornando a galla. Dobbiamo difenderli, rivendicarli, senza cedere ai tatticismi. E la ricandidatura della Raggi a Roma è uno di questi.

Sicuri che non ci sia un patto col Nazareno? La sindaca avrà sondato il terreno prima di dare l’annuncio.

Escludo che ci sia un accordo da parte dei nostri leader. Non ci sono uomini e donne per tutte le stagioni, con buona pace del professor Conte. La Raggi rappresenta una stagione iconoclasta del Movimento di cui non vogliamo essere compartecipi. Riformismo e trasformismo non sono la stessa cosa.

Lo sa che un anno fa dicevate lo stesso di Conte? Per Zingaretti serviva discontinuità nei nomi, poi è andata diversamente…

All’epoca era l’unica condizione per impedire i pieni poteri della stagione salviniana, che in questi giorni sta mostrando tutta la sua bassezza. Abbiamo pagato dazio. Quanto al trasformismo, Conte non è un trasformista alla De Pretis. Ricorda, semmai, Leopoldo Fregoli, che riusciva a cambiare vestito a seconda del palcoscenico. Fu improvvido attribuirgli la patente salvifica di leader del riformismo italiano. Come si dice dalle mie parti (Ossola, ndr), deve mangiarne di fette di polenta.

Quindi, a Roma fate voi un passo indietro?

Direi proprio di no, la proposta di Raggi è irricevibile. Roma è una capitale mondiale, prima ancora che europea. In questi anni ha vissuto un degrado senza precedenti. Ho visto scene degne di un paesino di montagna, dove si inaugurano con un nastro pochi metri di pista ciclabile. La verità è che, a Roma, il Pd deve sconfiggere un’idea subliminale.

Quale?

Che nella capitale non possa mai cambiare nulla. Non è così. Si può fare, ma prima dei nomi serve un programma, un progetto per Roma. Le giunte Rutelli e Veltroni insegnano.

Torniamo a Grillo, che non solo vuole un polo unico ma anche una rete unica. Che idea si è fatto del suo lungo post sul caso Tim-Open Fiber?

Mi limito a una battuta: finalmente qualcuno nel Movimento esprime una posizione, adesso sappiamo la linea. Nel merito, si tratta di una correzione rispetto all’uscita precedente. Ma qui la domanda da porsi è un’altra: quale modello vogliamo scegliere per le politiche a sostegno di un’economia digitale? Intelligenza artificiale, 5G, big data sono il nuovo petrolio del XXI secolo. Vogliamo gestirli in una logica statalista o di mercato? Su questo dobbiamo confrontarci al più presto. Altrove è mancato l’equilibrio. Come quando il governo ha tolto le concessioni ad Autostrade e poi, sullo stesso settore, abbiamo dato a Gavio il monopolio del Nord Ovest.

Ma c’è anche un tema geopolitico. Grillo è tornato all’attacco dell’offerta del fondo americano Kkr per una parte della rete secondaria di Tim. Cina nella rete sì, Usa no. Non è sovranismo a targhe alterne?

Dagli elementi di pubblico dominio risulta che Kkr voglia investire in Italia per avere un giusto ritorno di capitale. Non vuole controllare asset strategici. Peraltro, quando si parla di soggetti di questa natura, che rispondono a un preciso sistema geopolitico di alleanze, sarei molto più cauto a chiuder loro la porta.

borghi

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