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Molto più di un semplice “check-up”. Il tour europeo del ministro degli Esteri cinese Wang Yi, che questo martedì farà tappa per un incontro alla Farnesina con il suo omologo Luigi Di Maio, segue un percorso geopolitico tutt’altro che casuale. È speculare a quello da poco concluso da Mike Pompeo, il segretario di Stato Usa che ha visitato a inizio agosto Austria, Inghilterra, Repubblica Ceca, Danimarca, Polonia e Slovenia.

POMPEO VS YI, I TOUR (OPPOSTI) IN EUROPA

Se il capo della diplomazia americana ha chiesto ai principali Paesi alleati del Nord ed Est Europa di rispedire al mittente le sirene cinesi (sul 5G, i porti, gli investimenti diretti esteri), la controparte di Pechino vuole saggiare il terreno dei restanti Paesi chiave: i tre pilastri dell’Europa centro-meridionale, Germania, Francia, Italia, e altri due tasselli fondamentali nella corsa al 5G, l’Olanda e la Norvegia.

LA CONTA DEI DANNI

Più che un check-up, è una “conta dei danni”, ha spiegato Lucrezia Poggetti del Mercator Institute for China Studies (Merics) al South China Morning Post. Perché il primo obiettivo cinese è “prevenire la creazione di un fronte transatlantico unito contro la Cina, specialmente sul 5G”. E in Europa, ma soprattutto in Italia, c’è chi si è già messo al lavoro per costruirlo. L’iniziativa di Pompeo per instaurare un dialogo strutturato Usa-Ue è solo il primo passo. Il presidente cinese Xi Jinping risponderà a metà settembre con un summit speciale insieme alcuni dei leader di governo dell’Ue. In mezzo al braccio di ferro, il tour di Wang. “È un buon segnale che in Europa si continui il dialogo con la Cina, indipendentemente dall’evoluzione delle relazioni Cina-Stati Uniti – commenta con Formiche.net Alessia Amighini, co-head dell’Asia Centre dell’Ispi.

I DOSSIER ITALIA-CINA SPIEGATI DA ANDORNINO

Tanti i dossier sul tavolo della visita italiana di Yi. “Conosciamo quelli più caldi: 5G, investimenti cinesi nel sistema infrastrutturale italiano, opportunità per le imprese italiane nel mercato cinese, posizione di Roma su Hong Kong e, soprattutto, sulla linea di maggiore fermezza verso la Cina che si è andata consolidando a Bruxelles ancor prima dell’insediamento dell’attuale Commissione Europea”, spiega a Formiche.net Giovanni Andornino, docente di Relazioni internazionali dell’Asia orientale all’Università di Torino e vicepresidente del Twai (Torino world affairs institute).

Meno chiare le posizioni in campo nella politica italiana. “L’attuale maggioranza è tutt’altro che compatta in merito all’orientamento da tenere su questi temi, mentre con l’inversione a U della Lega – che ora si cimenta in flash-mob davanti ai cancelli dell’Ambasciata cinese a Roma – il centro-destra si è ricompattato sulle tradizionali posizioni critiche nei confronti della Repubblica popolare”. Se qualcuno guarda alle elezioni presidenziali americane sperando in un cambio di passo della politica anti-cinese con una vittoria dei Dem, si sbaglia di grosso, ammonisce Andornino. “Indipendentemente dal risultato, a Washington ci si attenderà un’affidabile scelta di campo atlantica sulle questioni fondamentali. Il caso Huawei è emblematico: qui mi pare che l’Italia vada verso una soluzione che, senza troppa pubblicità, nella sostanza chiude al 5G cinese, un po’ come avviene in Francia”.

C’ERA UNA VOLTA LA VIA DELLA SETA

Sono già lontani i tempi dei tappeti gialloverdi a Xi Jinping nella capitale. “Il Consigliere di Stato e Ministro degli esteri cinese troverà a Roma una situazione fluida, piuttosto diversa rispetto al clima che accolse la firma del Memorandum of Understanding sulla Belt and Road Initiative nel marzo 2019”, dice Andornino. “All’epoca le polemiche non mancarono, ma si coglieva un indirizzo politico che investiva nella relazione con Pechino, cercando quei ritorni economici che si erano rivelati elusivi negli anni precedenti. Oggi gli interlocutori principali sono gli stessi di allora – il presidente del Consiglio Conte e Di Maio, già firmatario del MoU in qualità di Ministro dello sviluppo economico e nel frattempo divenuto titolare degli Esteri – ma a Roma prevale un sentiment assai più disincantato, che mi pare orientato più a un “tagliando” degli accordi siglati un anno e mezzo fa, che non al loro rilancio”.

I CONTI IN TASCA

Il tagliando è discutibile, un anno dopo. È vero, spiega il professore, “l’Italia ha beneficiato di una particolare disponibilità da parte della Cina durante la fase acuta della pandemia da Covid-19, un dividendo imprevisto ma tangibile del MoU”. “Ora, però, la necessità di affrontare la prossima emergenza – il rilancio della crescita – riporta il fuoco dell’attenzione sulla performance del MoU BRI nel suo ambito precipuo – continua – che è quello economico e, nello specifico, commerciale. Qui è difficile vedere per l’Italia risultati paragonabili al successo politico che il governo cinese ha incassato acquisendo la firma del MoU da parte di un paese membro di G-7, Nato e fondatore dell’Unione Europea. Una più oculata gestione delle aspettative e un dibattito pubblico meno ossessionato dallo spin di brevissimo respiro nei primi mesi del 2019 avrebbero giovato”.

L’ANNIVERSARIO

La visita di Wang a Villa Madama può essere l’occasione per celebrare dopo mesi il 50° anniversario delle relazioni bilaterali. Meglio tardi che mai. “Nell’assenza dei flussi di delegazioni, viene da chiedersi se non si potrebbero stimolare quantomeno flussi di idee: anche se questa è più l’epoca del tifo qualunquista e delle narrazioni manipolatorie, che non dei dibattiti civili, sarebbe giusto offrire all’opinione pubblica italiana spazi e contenuti per un’articolata conversazione nazionale sulla Cina di ieri e di oggi, sul suo ruolo globale e sulle implicazioni per il nostro paese ed il vicinato euro-mediterraneo”, conclude Andornino. “Allo stesso modo, non è meno importante che la società cinese sia esposta a stimoli che restituiscano la varietà di carismi del nostro paese al di là degli stereotipi a cui l’Italia si presta troppo sovente a essere ridotta”.

Quanto brilla la stella cinese in Italia. Ecco i dossier sul tavolo di Di Maio e Wang

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