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Prima di tutto, voglio rendere omaggio all’Italia, che, in questa fase della crisi senza precedenti che il mondo sta attraversando, indica la strada agli altri paesi europei, così come ha fatto all’inizio della pandemia.

È vero che, per un momento, il resto dell’Europa ha guardato all’Italia e al propagarsi del virus con incredulità, forse persino con distacco. Ma oggi sappiamo che sono state le autorità italiane a indicare la via da seguire, con misure successivamente replicate dagli altri governi. E sono stati soprattutto i cittadini italiani a dare agli altri europei l’esempio di una disciplina, di una resistenza e di un coraggio che hanno permesso di arrestare progressivamente la propagazione dell’epidemia. In questo senso, possiamo dire che gli altri europei sono stati tutti italiani.

Non tutti i paesi sono stati tanto colpiti quanto l’Italia. Tuttavia, se molti hanno retto meglio, è innanzitutto perché l’Italia è stata la prima a essere duramente colpita. Il dramma dell’Italia, e in seguito della Spagna, ha reso consapevole il resto dell’Europa spingendolo ad adottare più rapidamente misure drastiche. Non dovremo dimenticare che, probabilmente, il sacrificio dell’Italia ha salvato indirettamente vite umane nel resto d’Europa.

I cittadini si sono mostrati all’altezza della situazione. E ora spetta a noi leader politici mostrarci all’altezza della sfida rappresentata dalla ripresa. È quanto vi impegnate a fare nel quadro degli Stati generali. Ed è quello che, a livello europeo, devono fare ora i 27 capi di Stato o di governo: trovare un accordo sul piano europeo volto a stimolare le nostre economie, in base al progetto elaborato dalla Commissione europea su richiesta del Consiglio.

[…]

La pace e la prosperità sono e restano i nostri punti di riferimento. E sono convinto che sia ormai necessario mirare anche a un valore che riassuma e al contempo superi tali obiettivi. Un valore che abbiamo riscoperto nel nostro quotidiano con rinnovata e rafforzata chiarezza nel momento in cui è stato così tragicamente minacciato dal virus: mi riferisco al benessere personale e collettivo – economico, sociale, sanitario, culturale – che non si limita alla mera prosperità economica.

Nel nuovo orizzonte si profila una società fondata sulla dignità e sulla benevolenza e il percorso per raggiungerla è delineato dagli obiettivi strategici dell’Unione già menzionati. L’Europa può – anzi, deve – farsene promotrice, tanto nella dimensione interna quanto in quella esterna.

Vorrei infine condividere alcune riflessioni di carattere forse più pragmatico su cui mi baserò per parlarvi del processo negoziale che sta per essere avviato. Spetta infatti al Consiglio europeo, ossia ai 27 Stati membri, trovare un accordo su un progetto comune. E dovrà prendere posizione anche il Parlamento europeo.

Come prima osservazione, vorrei mettere tutti in guardia dal sottovalutare la difficoltà dei negoziati che stanno per iniziare. Si tratta di una proposta sotto molti aspetti inedita per natura e portata. Ma c’è ancora strada da fare. Come sapete, su vari punti chiave del progetto esistono divergenze significative: sulla dotazione globale, sulla ripartizione tra prestiti e sovvenzioni, sui criteri di distribuzione delle risorse finanziarie, sulle condizioni di assegnazione dei fondi…

Ora più che mai, questi negoziati sono irti di difficoltà, poiché costringono tutti gli Stati membri a riconsiderare determinati principi cui sono fedeli da così lungo tempo. Per il buon esito di simili negoziati, tutti i partecipanti dovranno sforzarsi di guardare e comprendere le cose dal punto di vista degli altri, e quindi accettare di mettere in discussione i propri preconcetti.

Non tutti condividono la stessa interpretazione di cosa sia nel concreto la solidarietà. Così come non tutti sono istintivamente d’accordo sulle implicazioni pratiche che derivano necessariamente dal principio di responsabilità. Potremo riuscire solo se sia gli uni che gli altri faranno lo sforzo di mettersi nei panni dei rispettivi interlocutori.

Il processo di allineamento verso un accordo è cominciato, ma la strada è ancora lunga e piena di ostacoli: questo deve essere chiaro a tutti.

Ed ecco la mia seconda osservazione: gli obiettivi che i 27 si sono prefissati e che ho menzionato poc’anzi sono obiettivi comuni. E oggi, molto più di due o tre mesi fa, penso che i 27 siano consapevoli del fatto che l’operazione di solidarietà finanziaria che tentiamo di realizzare non è questione di carità, ma rientra piuttosto nell’effettivo interesse di ciascuno di noi. Tutti noi condividiamo l’interesse vitale di ristabilire pienamente il nostro grande mercato interno, di preservare la stabilità della zona euro e di rafforzarla.

L’obiettivo è dunque comune. Ma spetterà a ciascuno di noi decidere quale strada imboccare e come conseguire gli obiettivi. Il piano europeo di ripresa a cui stiamo lavorando non sostituirà i piani nazionali, tutt’altro: li dovrà rafforzare. Per questo motivo – caro Giuseppe, care amiche e cari amici – il lavoro che avviate qui è fondamentale.

E lo è doppiamente. Soprattutto e innanzitutto, perché è evidente che costituisce un’urgenza per gli italiani, che si aspettano delle soluzioni. In qualità di ex primo ministro belga, so che non è facile realizzare riforme e trasformazioni. È necessario avere una volontà di ferro, incrollabile, e coinvolgere costantemente i cittadini nei nostri processi democratici.

Ma questo piano europeo di ampio respiro che – ne sono convinto – dobbiamo mettere in atto può anche rappresentare un’occasione unica per l’Italia: l’occasione di realizzare le trasformazioni indispensabili per un avvenire più stabile, in Italia e in Europa.

Diamo tutti prova di coraggio e responsabilità. In quest’impresa di solidarietà a 27, più saremo ambiziosi e coraggiosi a livello nazionale, maggiore sarà la forza che imprimeremo al progetto europeo. La solidarietà non è una strada a senso unico: da una parte, presuppone la mobilitazione di risorse per sostenere le regioni e i settori maggiormente colpiti; dall’altra, significa anche realizzare le trasformazioni indispensabili per rafforzare ciascuno Stato membro, e quindi l’Unione europea nel suo complesso. Rafforzare l’Italia significa rafforzare anche l’Europa […]

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