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Il settimo giorno di proteste che stanno scuotendo il cuore della Bielorussia non segna un progresso. Anzi. Il presidente dello Stato ex sovietico rivendica con forza la legittimità della sua elezione. “Abbiamo un governo che è stato formato nel rispetto della Costituzione”, ha rivendicato Alexander Lukashenko, che ha minacciosamente aggiunto: “Non giocate col fuoco. I nostri militari sono in grado di proteggersi e di proteggere le proprie famiglie e di garantire la sicurezza del nostro Paese”. Parole a dir poco esplicite che chiudono la porta alla possibilità di “mediatori internazionali”.

Lo stesso Lukashenko era stato molto chiaro nel riconoscere come suo interlocutore privilegiato solo ed esclusivamente Vladimir Putin nonostante i dissapori emersi nei mesi scorsi. I due leader hanno avuto oggi il loro primo colloquio ufficiale al termine del quale è stata diramata una nota ottimista in cui si esprime “fiducia” circa una positiva soluzione della crisi. Di diverso avviso le migliaia di manifestanti che si sono radunati a Minsk nei pressi della stazione della metro Pushkinskaya, cioè nel luogo in cui lunedì il manifestante 34enne Alexander Taraikovsky è rimasto ucciso in scontri con la polizia.

La brutale repressione delle proteste in Bielorussia dove Lukashenko detiene il potere da ben 26 anni ha attirato dure critiche in Occidente. I ministri degli Esteri dell’Unione europea ieri hanno respinto i risultati delle elezioni nel Paese e hanno cominciato a stilare una lista di funzionari bielorussi che potrebbero affrontare sanzioni per il loro ruolo nella repressione. Il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, oggi ha fatto riferimento alla Bielorussia parlando in conferenza stampa a Varsavia con il suo omologo della Polonia: “Abbiamo detto che le elezioni non sono state libere. Ho trascorso gli ultimi giorni a consultarmi con i nostri partner europei” e “il nostro obiettivo comune è quello di sostenere il popolo bielorusso. Queste persone stanno chiedendo le stesse cose che ogni essere umano vuole”, ha dichiarato Pompeo.

Sarà forse proprio la posizione unitaria dell’Occidente ad aver fatto tornare il presidente bielorusso sotto l’ala protettiva del Cremlino che pure accusava di voler assorbire completamente Minsk sotto il controllo di Mosca. Putin non può voltare alle spalle allo storico alleato ma certamente non nasconde l’imbarazzo. Al momento, il presidente russo deve governare diversi fronti di crisi, anche interna. Migliaia di persone, duemila secondo le autorità, sono scese in piazza a Khabarovsk, nella Russia orientale, nella sesta settimana consecutiva di proteste contro l’arresto dell’ex governatore della regione Sergei Frugal e contro l’influenza di Mosca nella regione. Filmati mostrano una folla di persone in strada armate di manifesti e bandiere.

Frugal, detenuto a Mosca, è stato arrestato più di un mese fa. È accusato di aver commissionato due omicidi 15 anni fa e di tentato omicidio e respinge ogni accusa. Era stato eletto nel 2018 battendo il candidato gradito proprio a Vladimir Putin. Finora i media americani ed europei hanno snobbato queste proteste ma è evidente che il Cremlino non può gestire troppi focolai, tenendo conto anche del rimescolamento di carte in atto nel Mediterraneo. Ecco perché la crisi in Bielorussia non sarà una passeggiata per Lukashenko. L’amico Putin non può perdere la faccia nello spazio ex sovietico ma non può neppure mettere a repentaglio la sua stessa stabilità.

Bielorussia, e se Putin molla Lukashenko? Il fattore Khabarovsk

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