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Francia, Germania e Regno Unito ma anche Stati Uniti e Australia. Sono i Paesi che hanno chiesto alla Cina chiarezza su quanto accaduto attorno all’origine del virus. Alcuni giorni fa, poche ore dopo che Paolo Mieli sul Corriere della Sera aveva suonato la sveglia per il Partito democratico con un editoriale dal titolo “Sulla Cina troppe ambiguità”, Reinhard Bütikofer, eurodeputato tedesco e portavoce dei Verdi europei per la politica estera, nel corso di un’intervista a Formiche.net aveva rivolto un appello al governo italiano: “L’Unione europea parli non una voce unica. Chiedere chiarimenti a Pechino sul coronavirus non è un insulto”.

E se l’Italia alla fine non si unisse al coro, come reagirebbero i nostri alleati? “Non so se questo potrebbe minare il rapporto tra Italia e Stati Uniti ma sicuramente non sarebbe una cosa positiva”, spiega a Formiche.net Dean Cheng, senior research fellow dell’Heritage Foundation di Washington, centro studi fondamentale per la politica estera sotto la presidenza di Ronald Reagan e ancora molto ascoltato nei circoli repubblicani.

Il colloquio con Cheng è avvenuto poche ore prima che la Lega prendesse l’iniziativa sulla Cina. Il leader Matteo Salvini ha infatti spiegato questa mattina alla Stampa che secondo lui “se davvero l’Europa è un’unione di popoli, dovrebbe mettersi assieme per chiedere soldi a Pechino”. Ed è stato seguito dal deputato Paolo Grimoldi, segretario della Lega Lombarda, che ha annunciato che “la Regione Lombardia chiederà, e in tempi brevissimi, il conto dei danni alla Repubblica Popolare Cinese” per la crisi coronavirus. “Siamo pronti a mandare all’ambasciatore cinese un acconto di richiesta danni da 20 miliardi. Nella prossima seduta del Consiglio regionale lombardo, la Lega presenterà una richiesta in tal senso, per dare mandato alla Regione per chiedere i danni”, ha aggiunto Grimoldi.

L’esperto Cheng ha spiegato a Formiche.net come il rapporto tra Stati Uniti e Italia è “antico e forte” e come il silenzio italiano non “causerà certamente una crisi”. Tuttavia, “ci sono tanti piccoli pezzi” che rischiano di indebolire il legame. La questione della trasparenza cinese, la firma del Memorandum sulla Via della Seta ma anche il 5G. “Penso che gli Stati Uniti valuterebbero con attenzione la condivisione di informazioni sensibili” con l’Italia nel caso in cui Roma spalancasse le porte del 5G al colosso cinesi Huawei.

“Il governo cinese è molto felice che un Paese come l’Italia – partner del G7, membro fondamentale dell’Unione europea, grande potenza europea – abbia scelto di non dire nulla”, continua Cheng. “L’interesse della Cina non è che l’Italia dica che la Cina è buona ma che non dica che sia cattiva. In questo senso, meno alleati degli Stati Uniti chiederanno chiarezza, più Pechino sarà felice”. 

La campagna di aiuti cinesi all’Italia sembra aver due obiettivi. Il primo: ripulire l’immagine di Pechino facendo dimenticare ritardi ed errori nelle prime fasi del coronavirus. Il secondo: insinuarsi in un Paese geograficamente e politicamente fondamentale per l’Occidente e per la Nato. Secondo Cheng, cyber (e quindi 5G) e spazio saranno i temi del confronto tra la Nato e la Cina nel futuro. Il terreno di questo scontro? L’Europa. “Le forze militari tradizionali della Cina non rappresentano una reale minaccia per l’Europa. Ma in termini di sicurezza informatica la Cina non vede l’ora di accedere alle reti europee. Allo stesso modo, Pechino potrebbe minacciare le capacità spaziali europee come obiettivi per metter in difficoltà la Nato”.

L'Italia tace sulle responsabilità cinesi? Occhio agli Usa... Parla Cheng (Heritage)

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