Skip to main content

Il momento è drammatico. Nonostante gli ottimismi, i dati sul contagio non sembrano voler scendere. Nel frattempo però la crisi economica incalza. Si comincia a pensare che, rimanendo fermi troppo a lungo, la mancanza di entrate fiscali comincerà ad essere un problema per lo Stato, e anche il sistema pubblico può crollare. Francesco Casoli, marchigiano, presidente di Elica, azienda leader mondiale nel settore della cappe aspiranti, e di Aidaf, associazione della imprese familiari che raggruppa più di 200 soggetti rappresentando circa il 15% circa del Pil italiano, non ci sta. “Le aziende devono, con schiena dritta e con la voce forte, ricominciare a lavorare, dando tutti gli strumenti per garantire la massima sicurezza possibile”, ha spiegato in questa conversazione con Formiche.net.

C’è bisogno che l’Italia produttiva riparta? 

Tutti dobbiamo condividere il fatto che su questa battaglia non saremo mai sicuri neanche ad andare a fare la spesa. Quindi non riusciremo a raggiungere la sicurezza totale in fabbrica. Perché si tratta di un sistema permeabile, e la gente la sera esce dalla fabbrica e va a cena a casa, o incontra parenti e amici. Ma dobbiamo essere anche consci che se le fabbriche non ripartono, e quindi se non riparte l’export, innanzitutto si ferma il mercato nazionale. Ma se le tasse delle aziende private, che servono per tenere in piedi le pensioni, gli ospedali, gli uffici pubblici, non ripartono, cade tutto il castello. E noi ci stiamo andando molto vicino.

Si sentono troppi pareri medici, e pochi che guardino all’economia?

Capisco che in questo momento è facile parlare di virologia. Ma sento anche medici parlare di linee di montaggio e concorrenza internazionale. Purtroppo però, se noi ci attacchiamo alla speranza della sicurezza totale non ripartiremo mai. Quindi dico ai medici: lasciate gli industriali fare gli industriali, agli operai fare gli operai, e all’export a ripartire. Altrimenti qui, tra un po’, rischiamo il default pesante.

Si è parlato in questi giorni del Codice Ferrari per tornare al lavoro: ingressi scaglionati, kit per le trasferte, termo scanner. Appena saputo di un contagio nella sua azienda, lei ha stilato una polizza assicurativa per tutti i dipendenti. In che modo le imprese possono garantire la sicurezza ai dipendenti?

Le imprese devono seguire un protocollo molto stretto, e quello della Ferrari lo è. Noi come azienda, e come tanti altri, già ce lo avevamo prima del lockdown. Tutti guardano la Ferrari con grande orgoglio, ma le assicuro che anche le medie aziende italiane hanno seguito fin dall’inizio le regole di distanziamento, di tracciabilità e altro. Noi dopo avere avuto un caso abbiamo messo immediatamente in quarantena tutto il reparto. C’è una grande attenzione, e le aziende sono pronte a reagire con i protocolli giusti. Questo risolverà il problema e porterà a zero positivi? No. Come ci sono quelli che vengono contagiati ora dal virus, nei supermercati o negli ospedali, lo stesso continuerà anche dopo. È vero che le fabbriche non sono come gli ospedali, ma li sostengono, grazie alla ricchezza che creano. Non ce lo dobbiamo dimenticare, perché altrimenti tra sei mesi non avremo più ne le fabbriche né gli ospedali.

Quali sono le ipotesi in campo che la convincono maggiormente, per passare alla cosiddetta fase due? Visto che il problema del contagio è più forte al nord, si potrebbe guardare alla riapertura del resto d’Italia.

Lo dico con una battuta: il primo grande errore del dream-team creato dal governo, è il numero. È formato da diciassette persone, e per me che sono scaramantico, porta sfortuna. Passi la battuta, ci sono professori sicuramente con grandi competenze teoriche, ma io sono sconcertato che in questo team non ci sono rappresentanti né dell’industria né della finanza. Quello invece delle differenze territoriali è un tema che ci stiamo ponendo tutti. Io sono nelle Marche, ma prendiamo il Lazio: la pressione del Covid è bassissima. Non possiamo mettere queste due regioni allo stesso livello di chi ha una maggiore pressione. Poi guardiamo i trasporti: in Lombardia tanti lavoratori si spostano con i mezzi pubblici. Qui da noi gli operai arrivano al lavoro la mattina, e se tornano a casa la sera, da soli con la propria macchina. La possibilità di distanziamento non è ovunque uguale. La ripartenza va fatta in quei luoghi dove non c’è questa pressione epidemiologica. E dove ci sono elementi strutturali che permettono un distanziamento più facile.

Secondo lei cosa non ha funzionato in Italia? C’è stata una cattiva gestione della crisi?

Quello che è mancato è stato sicuramente un coordinamento, non c’è stata una presa di coscienza di quanto stava succedendo, c’è stata tanta confusione. Perché Zaia, bravissimo, fa tutto quello che si deve, e in altre regioni si muore nelle Rsa? La Lombardia ha una pressione altissima, l’Umbria bassissima. Alcuni protocolli medici usano il cortisone, altri la clorochina. La realtà è che sembra che stiamo brancolando nel buio. Perché non abbiamo una leadership forte. Un Paese così, relativamente piccolo ma con un sistema in cui la sanità è divisa per regioni e ogni regione la gestisce in maniera diversa, senza la possibilità del governo centrale di esercitare una capacità di coordinamento, qualora ne avesse la capacità, rischia di andare a sbattere. E noi siamo andati a sbattere contro la tempesta perfetta e con l’attrezzatura meno adatta.

Il governo ha annunciato aiuti e prestiti alle imprese, anche se sembra stentino a decollare, a differenza di altri paesi. Lei è anche presidente di Aidaf: vedete passi in avanti?

Le aziende familiari sono abituate a non correre troppo dietro sussidi, per questo resisteranno di più. Siamo abituati a lavorare con le proprie forze, quindi non sarà semplice, però saremo un tantino più coriacei degli altri. Ma la confusione è grande. Si è delegato alle banche, senza dare indirizzi chiari, un compito titanico, quello cioè di dare il livello di credito alle imprese, capendo chi deve prendere, quanto e quando. Ci sono dei cortocircuiti istituzionali. La politica italiana sta litigando sul Mes, ma a me imprenditore non interessa. L’importante è che si abbia la possibilità di avere velocemente un aiuto dall’Europa, perché noi abbiamo bisogno delle stesse armi dei nostri competitor. Abbiamo una Germania che non ha mai smesso di lavorare, una Francia che si sta riprendendo, un’Inghilterra che resiste con la forza degli inglesi, una Spagna che sta riaprendo le fabbriche. Se continuiamo ad aspettare, le fabbriche chiuderanno e non riapriranno più. E sarà un disastro, anche per chi sta seduti con un posto pubblico, che con il tempo non potrà più percepire lo stipendio.

Il Fmi dice che il Pil dell’Italia crollerà a meno nove. A marzo i consumi sono calati del 30%. E a livello mondiale si parla di una recessione al 3%, peggio della Grande Depressione. Quali gli scenari ci attendono all’orizzonte?

La comunicazione sta cavalcando l’onda della notizia tragica in maniera eccessiva. Le redazioni dei giornali sono piene di buone notizie, ma ci si continua ad immergere in una narrativa da film dell’orrore. Non dico che le cose sono tutte rose e fiori, però le dico che noi abbiamo un’azienda in Messico e nell’ultima settimana dal Nord-America hanno ricominciato a domandare prodotti. A volte sento notizie così catastrofiche che spengo la televisione. Perché se è così, siamo all’alba dell’agro-pastorizia europea che non basterà a tutti, perché non ce la faremo a sfamare tutti i popoli occidentali. Spero che non torneremo ai piani quinquennali che faceva la Russia sulla produzione del grano.

La decrescita infelice…

Non penso che sarà così, e penso che ci troviamo ancora nell’occhio del ciclone. Forse ne stiamo uscendo, ma a livello emotivo e comunicativo ne siamo ancora dentro. Tra un po’ il vento smetterà di tirare così forte e torneremo tutti ad avere, con la massima sicurezza, una vita magari non esattamente come prima, ma normale. Anche se con la mascherina. Per sei o dodici mesi non sarà un grosso problema uscire con la mascherina. Però non durerà per sempre. Continueremo a vivere, ci adatteremo come abbiamo sempre fatto e come sempre faremo.

 

Se non ripartono le aziende crolla tutto il castello. Parla Casoli (Aidaf)

Il momento è drammatico. Nonostante gli ottimismi, i dati sul contagio non sembrano voler scendere. Nel frattempo però la crisi economica incalza. Si comincia a pensare che, rimanendo fermi troppo a lungo, la mancanza di entrate fiscali comincerà ad essere un problema per lo Stato, e anche il sistema pubblico può crollare. Francesco Casoli, marchigiano, presidente di Elica, azienda leader mondiale nel…

La logica sovranista

Ieri sera al Parlamento Europeo è stato posto in votazione un emendamento del Gruppo dei Verdi ad una risoluzione sul Recovery Fund, nel quale si chiedeva l’adozione di “un debito mutualizzato a livello UE”: ossia, quello che tutto l’arco costituzionale italiano dice di volere; al contrario del MES che, come sappiamo, gran parte dei partiti afferma (pregiudizialmente) di non volere.…

Immuni, come funziona l'app di tracciamento dei contagi per la Fase 2

Il progetto selezionato tra le 319 proposte ricevute dal gruppo di esperti insediato al ministero dell'Innovazione, proposto al premier dalla ministra Paola Pisano il 10 aprile e sottoposto al vaglio del team Colao è stato ritenuto la soluzione più idonea per la sua capacità di contribuire tempestivamente all’azione di contrasto del virus, per la conformità al modello europeo delineato dal…

Il Pil cinese collassa. L'ammissione di Pechino

Quello che fino a poche settimane fa si era solo immaginato, si è avverato. Il Prodotto interno lordo della Cina, origine del coronavirus, ha subito una contrazione del 6,8% su base annua nel primo trimestre del 2020, a causa delle ricadute della pandemia del coronavirus, che ha portato all'isolamento e all'arresto temporaneo delle attività economiche in diverse aree del Paese.…

Coronavirus. Ma la scuola italiana riapre o no? Precari, esami, paritarie, fase 2: le urgenze da affrontare

In Germania, Danimarca, Francia e Spagna è già stato annunciato che riaprono le scuole dal 4 maggio. In forme diverse, con le accortezze necessarie e gli scaglionamenti utili, ma riaprono. Invece da noi oggi (ieri, ndr) leggiamo sulla pagina personale Facebook del ministro Azzolina che “si sta istituendo un tavolo tecnico di esperti per valutare cosa fare”. Sarà perché l’ufficio…

Il virus, Zaia e la competenza che serve all'Italia. Parla Pomicino

È stato esponente di punta della Dc durante l'emergenza terrorismo Paolo Cirino Pomicino. In questa lunga conversazione con Formiche.net fa il punto sulla reazione ad un'altra emergenza come la pandemia, sulle responsabilità della politica e sulla ricetta per rimettere in moto il motore Italia con la ricapitalizziazione dello Stato. “Manca la competenza politica che guidi il paese e non lo…

Conte al capolinea (Covid-19 non c’entra). Il prof. Pombeni spiega perché

Un voto che legittimi un governo di ricostruzione sarebbe la cosa ideale da fare, ma impossibile adesso per ragioni tecniche come la Fase 2 e il semestre bianco. Lo dice a Formiche.net Paolo Pombeni, storico, politologo, già professore di Storia dei sistemi politici all’Università di Bologna, componente del comitato di direzione della rivista il Mulino e direttore del sito Mente…

Cosa c’è dietro il feeling fra Trump e Putin? Parla Rojansky (Wilson Center)

Chi conosce la Russia lo sa bene. Annullare la parata militare per il Giorno della Vittoria, la mastodontica sfilata di soldati e carri armati che ogni anno, il 9 maggio, ricorda la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale e gonfia d’orgoglio il petto dei russi (e del governo), non è cosa da tutti i giorni. Vladimir Putin è stato costretto a…

Libia ancora senza pace (ma Haftar perde terreno). Parla Arturo Varvelli

“Non mi sono mai sentita così vicina alla morte come in questo momento qui a Tripoli. Ci sentiamo perduti"; "non possiamo fare altro che attendere il nostro destino”. Sono alcune delle testimonianze che il New York Times ha raccolto in un video: uno spaccato della crisi libica, tra guerra civile e coronavirus (Internazionale l'ha tradotto in italiano). La guerra in Libia dura…

Non è l’ora di un dolciastro “vogliamoci bene”. Parola di Civiltà Cattolica

C’è un universo di fede che si rispecchia in sguardi o condotte melensi, potremmo dire “asessuati”. Un altro invece, da noi meno noto ma in arrivo, ama l’aggressività, i toni minacciosi. Così non può non strappare l’interesse la tesi che espone sul nuovo numero de La Civiltà Cattolica, che verrà pubblicato domani, padre Daniele Libanori: “Non mi pare che questo…

×

Iscriviti alla newsletter