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Sul CorSera, l’esperto di policy tecnologiche Alec Ross, spiega un aspetto cruciale di questi anni che forse dall’opinione pubblica viene un po’ sottovalutato. Il cyberwarfare, ossia la trasformazione dell’ambiente digitale in un teatro militare, è potenzialmente devastante. Se per fare una bomba atomica servono infatti anni di studi, investimenti e formazione di ingegneri iper-qualificati, per fare un malware in grado di attaccare obiettivi anche altamente sensibile basta un buon computer e pochi fondi affidati a uno smanettone (è una semplificazione iperbolica di chi scrive, ma non ci si va molto lontani, ndr).

Basta pensare a quanto successo ieri a Twitter, dove un attacco informatico ha colpito gli account di leader globali di vari settori: politico (Barack Obama e Joe Biden), economico (Michael Bloomberg, Elon Musk, Bill Gates), culturale (Kanye West). Un messaggio apparso sui profili di quei personaggi diceva che si sentivano disposti a condividere col mondo parte delle loro fortune, offrendo 2 mila Bitcoin a chi gli ne avesse inviati mille nel giro di mezz’ora. Una truffa da liceo, costata un paio di centinaia di dollari, ma che ha richiesto tempo per essere fermata. Che cosa sarebbe successo se invece di quel messaggio nel testo del tweet di quelle persone seguite da milioni di follower nel mondo fosse stato inserito un contenuto guerresco, o qualsiasi altro input divisivo o in grado di seminare paura e discordia?

E se quegli accessi fossero stati operati (o venduti) da attori statali (Russia, Cina?) con l’intento di seminare discordia? Nell’era in cui il presidente degli Stati Uniti ha elevato Twitter a suo principale megafono, certe delicatezze sono evidenti (tra l’altro nell’attacco dell’altro ieri, Twitter ha bloccato tutti gli account certificati per precauzione visto che non capiva cosa stesse succedendo, ma pare che @realdonaldtrump no, visto che ha una logica protezione speciale, ma il dubbio che anche quello sia stato violato, o sia violabile, resta comunque). Il clima è questo, e chiaramente non riguarda solo i social network. Giovedì, Regno Unito, Canada e Stati Uniti, hanno denunciato attività hacking condotte dalla Russia per interferire sugli studi in corso sul vaccino per il coronavirus. Un’arma strategica imprescindibile in questo momento. Oppure: da settimane, con cadenza quotidiana, in Iran si susseguono strani incidenti (esplosioni e incidenti) che potrebbero essere collegati a operazioni di cyberspionaggio per sabotare piani della Repubblica islamica e mettere sotto stress la leadership di Teheran. Si è creato uno stato di agitazione che potrebbe aver portato le persone a riavviare le rischiose manifestazioni soppresse a fine 2019.

Dice Ross, guru dell’innovazione prima durante la campagna elettorale di Barack Obama nel 2008 e poi con Hillary Clinton al dipartimento di Stato, che servirebbe una forma di diplomazia cyber. Ma ricorda che quando ai tempi dell’amministrazione Obama cercò di coinvolgere Russia e Cina, “abbiamo sempre fallito perché i nostri valori non sono allineati. La Cina non ha mai bloccato lo spionaggio economico. La Russia mente solo e non vuole mollare nulla”.

 

Da Twitter all’Iran, hacker e sabotatori attivissimi

Sul CorSera, l’esperto di policy tecnologiche Alec Ross, spiega un aspetto cruciale di questi anni che forse dall’opinione pubblica viene un po’ sottovalutato. Il cyberwarfare, ossia la trasformazione dell’ambiente digitale in un teatro militare, è potenzialmente devastante. Se per fare una bomba atomica servono infatti anni di studi, investimenti e formazione di ingegneri iper-qualificati, per fare un malware in grado di attaccare obiettivi anche…

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