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Chi si occupa del dossier libico per gli Stati Uniti fa filtrare con discrezione questo aspetto: la presenza russa in Libia “non è tollerabile”, perché è un “acceleratore di violenza” e un problema strategico “davanti alla Sicilia”. È un rafforzativo, perché la linea di Washington è già chiara e ampiamente esplicitata dalle azioni del dipartimento di Stato e Pentagono. Va notato che quando gli americani guardano alla Trinacria vedono: Sigonella, Muos e utility sottomarine (che siano i cavi Internet come il Blu Raman che andrà da Genova a Bombai, o i gasdotti come il Green Stream che da ovest di Tripoli arriva a Gela). Una qualsiasi installazione rivale in Libia potrebbe complicare la protezione di queste strutture.

E invece la Russia in questa fase sta spingendo la sua narrazione libica. Dall’appoggio clandestino (che poi, se ne scriviamo, troppo clandestino non lo è stato) alle ambizioni di Khalifa Haftar attraverso lo schieramento di contractor, si è passati al dispiegamento semi-ufficiale di un set di caccia senza insegne in Cirenaica. Tutto in sei mesi, da novembre ad aprile. Poi a giugno, mentre procedevano le trattative per riaprire il flusso di petrolio (che Haftar aveva fatto chiudere a gennaio), quegli stessi contractor russi  hanno addirittura occupato il campo pozzi di Sharara.

Da Washington sono arrivate diverse monotone denunce. Dalle mosse congressuali di mesi fa per sanzionare questa presenza (posta sul lato aggressore del governo onusiano di Tripoli), alle dimostrazioni pubbliche di superiorità tecnica quando su Twitter sono state pubblicate le immagini degli aerei che — in teoria in segreto — sono arrivati dalla Siria ad al Jufra. Manca un’azione ferma del decisore politico, ma forse non arriverà mai. Visto i tempi: a novembre si votano le presidenziali, e non è il caso di prendere decisioni sbagliate (le difficoltà bastano già). Però attenzione: è nelle fasi di vacanza e latenza del decisore formale che gli apparati potrebbero muoversi più liberamente e in parte sostituirsi. Non vuol dire che ci sarà una guerra, mai: ma un aumento di decisione da Washington non è da escludere. Intanto procederanno i contatti (oggi una delegazione Usa vede Haftar a Bengasi), perché la Russia sa perfettamente fin dove arrivare a tirare la corda.

L’ultimo trend di questa pastorale americana anti-Mosca ruota attorno a “i russi fanno il male del popolo libico”. Prima con il blocco del petrolio (che porta proventi che il governo investe in spesa pubblica), poi con la diffusione di foto scattate a sud di Tripoli, dove la ritirata haftariana s’è lasciata dietro un territorio (abitazioni comprese) infestato da trappole esplosive. La mano che le ha fabbricate, dice Africom, è quella del Wagner Group (ossia i contractor russi). “Complicano lo sforzo per il cessate il fuoco”, scrive il comando del Pentagono in una nota (ieri). E in effetti quegli ordigni sono del tutto simili a quelli che si vedono in Ucraina, nella zona di contatto tra forze regolari e separatisti aiutati dalla Russia — quell’area è considerata la più minata del mondo, e anche lì lavora la Wagner.

 

 

pompeo

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