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La revoca della concessione pare essere diventata una questione su cui esprimere un’opinione semplice. C’è chi ha paura dell’indennizzo e quindi dice che non va revocata e c’è chi dice che le colpe sono troppo gravi e, quindi, va revocata la concessione. È possibile che in due anni non si sia potuto affrontare seriamente il tema? Sotto il profilo giuridico, occorre ricordare che la concessione è un contratto che ha due parti: lo Stato e l’impresa concessionaria. Generalmente, un contratto non può essere terminato da una delle due parti in modo unilaterale. Occorre sempre il consenso.

Tuttavia, nell’ambito delle concessioni la regola del consenso subisce due alternative: la revoca e la decadenza. La revoca può essere dichiarata quanto lo Stato decide che non c’è più interesse pubblico a proseguire il rapporto con l’impresa. In questo caso, lo Stato deve motivare la scelta e deve corrispondere un indennizzo pari al pieno valore del contratto, inclusivo tanto del danno emergente (cioè del valore dei beni non ancora ammortizzati) quanto del lucro cessante (cioè dei ricavi non ancora incassati fino alla scadenza del contratto).

La decadenza viene dichiarata quando lo Stato accerta un inadempimento dell’impresa e, in ragione di tale accertamento, dispone la cessazione immediata del contratto. In questo caso l’indennizzo può essere ridotto da una penale per inadempimento e dal valore del danno ipoteticamente prodotto dalla condotta dell’impresa. La maggiore delicatezza di questa seconda opzione risiede nel fatto che tanto l’accertamento di un inadempimento quanto il valore dell’ipotetico danno connesso, costituiscono una materia classica da accertamento giurisdizionale.

Assumersi, invece, l’onere di una quantificazione unilaterale corre il forte rischio di essere contestata ed essere portata comunque davanti al giudice con conseguente allungamento dei tempi ed incertezza nella gestione. Infatti, secondo le regole concessorie (approvate con legge) il concessionario dichiarato decaduto o soggetto a revoca deve consegnare l’autostrada solo dopo aver ricevuto il pagamento dell’indennizzo. Tuttavia, l’art. 35 del c.d. decreto milleproroghe (approvato circa sei mesi fa) ha disposto due cambiamenti sostanziali che faciliterebbero il compito dello Stato. Da un lato si prevede che l’indennizzo debba includere solo il danno emergente (ossia solo il valore dei beni su cui il concessionario ha investito e che non sono ancora ammortizzati). In secondo luogo si è previsto il passaggio di consegne ad Anas in via provvisoria, anche, quindi, in deroga alle norme concessorie sui tempi di consegna.

In questo modo il valore dell’indennizzo potrebbe abbassarsi sensibilmente e non vi sarebbe il problema della gestione transitoria. Rimane, però, una perplessità sulla compatibilità di queste ultime norme con il diritto dell’Unione europea e, in particolare, con le norme sulla certezza del diritto e sulla libera circolazione dei capitali. Può uno Stato cambiare le regole in gioco in corso di esecuzione del rapporto e, addirittura, in corso di contenzioso? Sembra difficile immaginare che prima o poi la questione non arrivi alla Corte di giustizia di Lussemburgo e alla Commissione europea che, forse, potrebbero avere quella razionalità e distanza che, in casi come questi, è una prerogativa necessaria per il giurista.

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