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Zagabria. “Non escludiamo alcun operatore, l’ipotesi non è neanche presa in considerazione”. Ci risponde così Pierre de Bousquet de Florian, coordinatore per l’Intelligence e il Controterrorismo francese, quando da Zagabria gli chiediamo se il governo francese intende o meno dire una parola definitiva sulla presenza nella rete 5G delle compagnie cinesi accusate di spionaggio dagli Stati Uniti, come Huawei e Zte.

Il numero uno dei Servizi d’Oltralpe, nella capitale croata assieme ai colleghi di 23 agenzie europee per lanciare l’Intelligence college of Europe (Ice) (qui il reportage di Formiche.net e qui l’intervista al capo del Dis Gennaro Vecchione), ci spiega che l’Eliseo non ha alcuna intenzione di chiudere la rete ai cinesi. “Sono voci che non hanno riscontro – dice infastidito il prefetto parigino – il governo deve essere sicuro che la sicurezza delle attività strategiche e dei dispositivi utilizzati sia completa, specialmente delle aziende partecipate, perché lo deve ai contribuenti, ma non ricorrerà all’interdizione di operatori economici nel nostro Paese”.

È una parola definitiva, e tra le più autorevoli, che arriva dall’Hexagone in direzione Washington. Come aveva già fatto trapelare il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, l’esclusione di Huawei dalla banda ultralarga non è nel ventaglio di ipotesi valutate dal governo francese. L’esposizione delle autorità parigine, e ora di una delle più alte personalità del mondo dell’intelligence francese, dirada la coltre di incertezza che per settimane ha tenuto sospesi il governo americano da una parte, gli operatori francesi del settore telco dall’altra, in cerca di un segnale dall’Eliseo. Tant’è  che due settimane fa l’ambasciata cinese a Parigi aveva rotto gli indugi con un duro monito, spiegando senza mezzi termini che il bando di Huawei avrebbe avuto ripercussioni e innescato contromisure del governo cinese contro le principali competitors europee del colosso di Shenzen, la finlandese Nokia e la svedese Ericsson. Il messaggio deve essere arrivato a destinazione.

Il chiarimento di Bousquet de Florian arriva in un momento clou per le sorti del 5G francese. Huawei ha appena annunciato con una conferenza stampa del presidente Liang Hua, la costruzione in Francia di una fabbrica per la produzione dell’equipaggiamento 5G. Un investimento da 200 milioni di euro che creerà 500 posti di lavoro. Questo mercoledì inoltre l’Arcep (Autorità di regolamentazione delle comunicazioni elettroniche e servizi postali), agenzia governativa preposta alla regolamentazione del settore telco, ha rivelato il calendario per l’implementazione della rete di ultima generazione. Le tappe sono quelle già percorse in anticipo dalle telco italiane. Si parte dall’asta per le frequenze 3,4-3,8 Ghz, dalla quale il governo vuole ricavare un minimo di 2,7 miliardi di euro.

E qui nascono i problemi. Perché delle quattro aziende che parteciperanno alla gara, due hanno già bocciato Huawei, e altre due non possono proprio farne a meno. Della prima schiera fanno parte Orange (ex France Télecom), che a fine gennaio ha calato il sipario sulla compagnia cinese annunciando l’affidamento della sua rete 5G a Nokia ed Ericsson, e Free, che ha a sua volta scelto Nokia. Dall’altra parte ci sono Sfr e Bouygues Telecom, altri due pesi massimi del comparto e da sempre partner privilegiati di Huawei, che ha costruito la loro rete 4G, impegnati in un’instancabile azione di lobby sul governo per scongiurare un bando della compagnia fondata da Ren Zhengfei che le costringerebbe a smontare dalla notte al giorno l’infrastruttura cinese.

Il mercato, insomma, è diviso a metà. Ora la palla passa al governo. Interpellato in conferenza stampa mercoledì, il numero uno di Arcep Sébastien Soriano ha fatto spallucce, limitandosi a dire che l’agenzia “non è stata informata dal governo di un eventuale impatto concorrenziale” di un bando di Huawei. La partita però non è ancora chiusa. Secondo l’Express, qualcosa si sta muovendo a Parigi, dalle parti di Bercy. Non è sfuggita agli addetti ai lavori la trasferta a Seoul nel maggio del 2019 della macroniana Agnès Pannier Runacher, segretario di Stato alle Finanze, per un forum internazionale sul 5G. Fu un’occasione per sondare e rinsaldare i rapporti con Samsung, il campione sudcoreano della telefonia mobile.

L’azienda è il primo venditore di cellulari al mondo, ma sulla costruzione della rete 5G non sale sul podio. Negli ultimi mesi però ha spinto sull’acceleratore. Negli Stati Uniti, ad esempio, ha siglato due maxi-contratti per la banda ultralarga con Verizon e Sprint, con Videotron in Canada e KDDI in Giappone.

Tanto è bastato per attirare le attenzioni dell’Eliseo, che non vuole escludere Huawei ma starebbe escogitando un modo per sostituirlo in via indiretta. Gran parte degli operatori è sul piede di guerra, perché escludere l’azienda cinese significherebbe dare le chiavi del mercato alle sole due aziende europee, con un significativo rialzo dei costi. Serve un terzo competitor, e Samsung ha il potenziale per diventarlo, con circa 2800 brevetti per la tecnologia 5G e 15 miliardi di dollari spesi in investimenti per ricerca e sviluppo nel 2018.

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