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“Viviamo una situazione molto particolare: passiamo da ore di frenesia totale – pensiamo solo alle difficoltà per organizzare il rientro degli italiani all’estero – a momenti di relativa calma visto che tutte le attività non essenziali sono state sconvocate”. A parlare è Marina Sereni, vice ministra degli Esteri in quota Pd. Con lei abbiamo cercato di fare il punto sull’agenda della Farnesina in questi giorni così complessi e sui rapporti con partner e “amici” internazionali.

Quali sono le principali preoccupazioni della Farnesina in questa fase?

Siamo concentrati sulla gestione dell’emergenza sotto vari punti di vista. Tra questi, c’è sicuramente il rientro dei connazionali dall’estero: lavoratori, studenti, turisti ma anche casi sanitari particolari. La situazione è molto difficile ma devo dire che i diplomatici di tutte le nostre sedi, oltre all’Unità di crisi, stanno facendo tutto il loro meglio.

È uno dei punti su cui l’Italia sta collaborando con gli altri Paesi dell’Unione europea?

Mi pare sempre più chiara e forte l’esigenza di affrontare l’emergenza del Covid-19 su scala europea, e questo è molto positivo: sarà il tema principale al centro del Consiglio affari europei della prossima settimana. Anche altri Paesi stanno iniziando a vivere la nostra stessa situazione sulla diffusione del virus e anche loro debbono occuparsi del rientro dei loro cittadini dall’estero. Pensiamo agli studenti Erasmus: ce ne sono tantissimi italiani in giro per l’Europa ma anche europei in giro per l’Italia. Farli rientrare nei rispettivi Paesi è un problema reciproco e stiamo cercando di facilitare l’organizzazione di voli aggiuntivi.

Come valuta lo scudo da 750 miliardi presentato dalla Banca centrale europea oggi?

La decisione odierna è importantissima, vedremo come sarà accolta dai mercati e che cosa implicherà in termini di spread per il nostro Paese. Si tratta di un bazooka da 750 miliardi di euro che si aggiungono agli acquisti che la Banca centrale europea già aveva in programma. Noi l’abbiamo salutato con grande sollievo e siamo convinti che sia anche il frutto del lavoro del nostro governo in questi giorni. Ma non è l’unica decisione europea importante: se da una parte c’è il coordinamento europeo per affrontare l’emergenza con l’affermarsi del modello italiano nel resto d’Europa, dall’altra c’è il tema dell’impatto economico.

C’è la necessità di affrontare un rallentamento che non colpirà soltanto l’Italia.

La Commissione europea ha messo risorse a disposizione – che non sono tantissime né nuove ma è un budget specificatamente pensato per iniziative economiche a sostegno dell’emergenza del coronavirus. L’Eurogruppo ha dato sempre risposte positive e le ultime riunioni hanno dimostrato la consapevolezza dei ministri di intervenire significativamente. Si può fare con i bilanci nazionali, e questo è già chiaro visto che siamo già oltre il Patto di stabilità.

Basterà?

Per noi e per tutti è importante che ci sia anche un pacchetto di risorse aggiuntive europee. Il nostro governo ha già avanzato la proposta dei coronabond, cioè bond dedicati alle conseguenze economiche dell’epidemia. Tuttavia, non escludo che si debba discutere anche dell’utilizzo delle risorse del Mes, superando il nodo della condizionalità. 

Alcuni hanno accusato troppo in fretta i nostri partner europei di scarsa solidarietà offrendo il fianco alla narrativa cinese sugli “aiuti”?

Questa pandemia rassomiglia a una guerra, per la sua dimensione globale e la virulenza del virus. E in guerra c’è sempre una parte di retorica e di narrazione. Il nemico di tutti è il coronavirus ed è importante tener presente che non conosce confini, che rappresenta una sfida globale e che la cooperazione a livello sovranazionale è un dato importantissimo. Questo vale anche nel rapporto con la Cina, che è il Paese da cui il virus ha avuto origine e che è stato il primo a vivere una grande emergenza. Siamo amici della Cina ed è giusto riconoscere il loro sforzo per contrastare il virus. Tuttavia, penso che dovremmo stare attenti a una certa narrazione.

In che senso?

È legittimo che Pechino rivendichi la sua solidarietà nei nostri confronti e noi non possiamo che ringraziarli per questo. Ma bisogna stare attenti a chi usa questo atteggiamento della Cina per contrapporlo a una presunta indifferenza europea, che non è reale. Basti pensare al materiale sanitario arrivato qualche giorno fa dalla Germania e dalla Francia. Magari in qualche passaggio ci possono essere stati momenti di incomprensione e sottovalutazione con i nostri partner europei ma dobbiamo sapere che siamo legati a un destino comune con l’Europa e l’Occidente. E le decisioni di Commissione Europea, Consiglio Europeo e Bce lo confermano. 

Qual è la nostra dimensione?

Quella europea: in questo momento siamo protagonisti di una battaglia comune contro il virus e questa dimensione europea sarà sempre di più quella nella quale noi potremo vincere anche le conseguenze economiche del virus. Dal punto di vista della comunicazione, quindi, noi che abbiamo ruoli politici, ma anche il nostro servizio pubblico e i giornali, dobbiamo stare attenti a vedere che cosa davvero sta facendo l’Europa. Che, va riconosciuto, da febbraio a oggi, ha preso molte decisioni importanti nella direzione giusta, cioè coordinarsi sul piano sanitario e destinare risorse scegliendo assieme.

Il coronavirus spesso è definito l’elemento che disgrega l’Europa. Lei che cosa ne pensa?

I primi passi dell’Europa in queste settimane ci dicono che può accadere esattamente il contrario. Ma questa sfida ci invita a rivedere alcuni paradigmi della globalizzazione. Pensiamo al sistema industriale italiano ed europeo: forse dovremmo interrogarci su quali produzioni dobbiamo rimettere al centro della nostra strategia industriale. Per esempio, abbiamo difficoltà in questa fase a reperire le mascherine dato che non le produciamo più alla luce della delocalizzazione in Cina.

Serve una nuova strategia industriale che vada di pari passo con la sicurezza nazionale. 

Di fronte ad alcune considerazioni sulla sicurezza nazionale, di cui fa parte anche la tutela della salute dei cittadini, l’ordine liberale può e deve ripensarsi. Non per rovesciare i parametri e i valori del sistema liberale, ma per introdurre anche degli elementi di correzione perché non credo che tutto quello che ha fatto il mercato in questi decenni di globalizzazione sia stato di per sé buono.

L’epidemia avanza anche di fronte alle nostre coste. Che cosa sta facendo l’Italia?

Stiamo continuando a seguire la situazione nel Mediterraneo e in Medio Oriente perché la sicurezza e la stabilità dell’Italia e dell’Europa dipendono anche dalla sicurezza e dalla stabilità di quei Paesi. Ora tutti i governi sono concentrati sull’evoluzione dell’epidemia e alla luce di questo le azioni di contenimento del virus rappresentano esse stesse azioni di pace e di stabilizzazione: prima riusciamo a fermare il virus, prima possiamo ritornare a occuparci della normalità, anche di quella “normalità” che sono i conflitti. Come quello in Libia – ancor più complicato dopo le dimissioni dell’inviato Onu Ghassan Salamé – per il quale è necessario ripartire dal rispetto della tregua, dalla fine delle interferenze esterne e dalle conclusioni della conferenza di Berlino assunte da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

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