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Hong Kong, Egitto, Libia, Mes, Ue. Chi ha detto che il Pd non ha le idee chiare? Marina Sereni non si sottrae a nessuna domanda in questa intervista a Formiche.net. Viceministro degli Esteri, protagonista assoluta della storia del Pd, partito che ha contribuito a fondare, spiega perché, in politica estera, soprattutto quando in ballo ci sono i diritti umani, la chiarezza è un dovere.

Sereni, partiamo da Hong Kong con una domanda netta: l’Italia da che parte sta?

L’Italia sta con l’Unione europea e si riconosce pienamente nella posizione espressa dall’Alto rappresentante Josep Borrell nei giorni scorsi: l’entrata in vigore della legge speciale e gli arresti di centinaia di cittadini per reati di opinione mettono in discussione il principio “Un Paese, due sistemi” su cui la Cina e la comunità internazionale si sono reciprocamente accordati. Questa legge viola alla base gli accordi e noi, insieme all’Europa, chiediamo di cessare ogni atto che minacci l’autonomia legale e il rispetto dei diritti umani a Hong Kong.

Non le sembra che chiamare in causa l’Ue possa suonare come uno scarico di responsabilità?

Tutt’altro. Il richiamo all’Ue non è una furbizia, ma una presa d’atto: l’Italia, da sola, non può confrontarsi con un gigante economico, demografico e politico come la Cina. Condivido in pieno le parole spese in queste settimane dalla presidente von der Leyen, che ha definito la Cina un partner ma anche un rivale sistemico, con un sistema valoriale molto diverso dal nostro. Sui diritti umani non si transige.

Qual è invece la posizione del Pd?

Nei giorni scorsi abbiamo fatto una direzione nazionale sullo scenario internazionale. Abbiamo chiarito quali sono i nostri caratteri identitari: appartenenza all’Europa, al campo atlantico, rispetto dei diritti umani. Su questi fondamentali mi sembra ci sia una certa sintonia con gli alleati di governo. Non sempre abbiamo la stessa lunghezza d’onda, abbiamo storie diverse. Siamo gelosi della nostra cultura politica.

Diritti umani da una parte, rapporti diplomatici e commerciali dall’altra. È lo stesso trade-off che l’Italia si trova ad affrontare con l’Egitto e il caso Regeni. Anche qui, non è chiaro come si ponga il governo.

Restiamo ai fatti. Abbiamo sempre detto che la riapertura del confronto fra le due procure era essenziale, su questo Zingaretti e Di Maio sono sulla stessa linea. Alla controparte egiziana chiediamo un processo equo, non inquinato, di persone identificate con nomi e cognomi come affiliate all’intelligence egiziana e ritenute responsabili dell’uccisione di Regeni. Questa richiesta nell’incontro del 1 luglio non è stata soddisfatta, le risposte della procura egiziana sono state deludenti. Non possiamo andare avanti così.

Quindi che si fa? Si richiama l’ambasciatore?

Su questo sarò chiarissima: penso che l’Italia non debba richiamarlo, e debba piuttosto intensificare le pressioni politiche e diplomatiche sul governo di al-Sisi. Dal Mediterraneo all’energia fino alla Libia, l’Egitto è un interlocutore fondamentale.

Sulla vendita delle fregate Fremm di Fincantieri al Cairo anche il Pd ha parlato a più voci.

C’è stata una discussione, è vero, ma la presa di posizione del Pd mi sembra cristallina. Al di là del singolo caso, se non ci sono novità in merito alla cooperazione giudiziaria sul caso Regeni, potrebbero esserci delle conseguenze sulle transazioni commerciali, soprattutto nell’industria della Difesa.

Ha menzionato la Libia. L’Italia parla con la Francia e con la Turchia, l’Egitto e gli Emirati. Non rischia di essere amica di tutti e di nessuno?

Penso il contrario. Tutti hanno riconosciuto che l’Italia, in Libia, ha una sola agenda. Il bivio è semplice: o una soluzione militare, con la relativa escalation, o un congelamento del conflitto e l’avvio di un cessate-il-fuoco duraturo. Noi lavoriamo senza ambiguità alla seconda opzione. Abbiamo trovato orecchie attente tanto in Libia quanto all’esterno, i nostri interlocutori, in Francia come in Turchia, sanno che l’Italia vuole riprendere il dialogo politico sotto la guida del governo onusiano e sfruttare ogni mezzo per evitare una nuova escalation, compresa la missione europea a guida italiana Irini. Abbiamo un capitale politico da spendere e nessuno come noi conosce la Libia. Chi ha scelto la via della guerra ha scoperto presto che le armi non sono una bacchetta magica.

Sereni, un bilancio di questi mesi di governo rossogiallo. Il Pd fin dall’inizio ha avuto la tentazione di cambiare i Cinque Stelle. Ci siete riusciti?

Non so se li abbiamo cambiati noi, ma conosco questo movimento dalla scorsa legislatura, e posso testimoniar che c’è stata un’evoluzione. Da espressione di un malessere diffuso verso la politica tradizionale si è trovato a ricoprire responsabilità di primo piano, e le responsabilità cambiano le persone. Ad ogni modo, il nostro non è e non sarà mai un rapporto di simbiosi.

Appunto. Anche in politica estera non mancano le divergenze.

A dire il vero il lavoro che abbiamo fatto alla Farnesina con Di Maio ha rivelato più di una convergenza. L’azione diplomatica è tornata su un binario a noi caro, quello del rapporto con l’Europa, che ci ha consentito di tenere la testa alta durante le trattative per i fondi per la ripresa. Il Recovery Fund e gli altri fondi sono anche merito di una ritrovata collocazione dell’Italia in Europa.

Un fondo però vi divide in due. Si chiama Mes e presto l’Italia dovrà decidere. Come se ne esce?

Hanno ragione il presidente Conte e il ministro Amendola a dire: i prossimi 15 giorni concentriamoci sulla trattativa per il Recovery Fund. Due settimane per portare a casa un risultato vitale e dire la nostra sia sulle dimensioni che sulle modalità di spesa dei fondi.

Il Pd ha le idee chiare?

La nostra posizione è nota. Crediamo che, venute meno certe condizionalità, ora il Mes debba essere usato, anche perché il nostro sistema sanitario ha bisogno di investimenti. Qui aggiungo però che sarebbe meglio farlo insieme ad altri Paesi europei. Finora nessuno ha deciso di attivare le risorse del fondo.

Insomma, meglio evitare l’effetto stigma…

Proprio per questo sarebbe meglio rimandare a settembre il tema Mes, e optare per un’azione concertata con altri Paesi membri Ue.

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