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Nello scenario migliore, 59mila morti. In quello peggiore, 265mila. È questo il potenziale, drammatico bilancio finale del primo anno di coronavirus in Italia secondo un recente studio dell’Australian National University. Il report è stato redatto da un team di ricercatori del Centre for Applied Macroeconomic Analysis della Crawford School of Public Policy e delinea sette scenari possibili per il Covid-19, sia Stato per Stato, che a livello globale. Tutti e sette, spiegano in apertura gli autori, Warwick McKibbin della Brookings Institution e Roshen Fernando del Cepar (Centre of Excellence in Population Ageing Research), “dimostrano che anche una diffusione limitata potrebbe impattare significativamente l’economia nel breve periodo”.

IL MODELLO

Il modello utilizzato è il G-Cubed (ideato da McKibbin e Triggs nel 2018), e prende a riferimento i Paesi del G20, confrontandoli con altre quattro macro-regioni (il resto dei Paesi Oecd, resto dell’Asia, gli altri Paesi produttori di petrolio, resto del mondo) e sei settori tematici (Energia, minerario, agricoltura, manifattura di lunga e breve durata, servizi). L’analisi dell’università statunitense, compilata a fine febbraio e dunque prima che il virus fosse certificato dall’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) una “pandemia”, delinea un quadro drammatico sotto il profilo sanitario.

Fa una certa impressione guardare la tabella del “fatality rate” (in italiano: “tasso di mortalità”, ovvero quante persone decedono fra quelle infettate). I sette scenari, da S01 a S07, presentano conclusioni radicalmente diverse e sono differenziati da un fattore in particolare: il tasso di mortalità in Cina. Tre scenari (S01-S03) sono già scaduti, perché si fondano sull’assunto che l’epidemia sia ristretta solo al Dragone. L’ultimo (S07) è per ora da escludere, perché parte dal presupposto che la pandemia, oltre che globale, sia permanente, ovvero che ritorni ciclicamente ogni anno, per un tempo indefinito. Ne rimangono tre, e di questi uno sembra il più vicino alla realtà, quello costruito su un tasso di mortalità del Covid-19 in Cina del 2,5% (media gravità). Gli ultimi dati forniti sull’epidemia in Cina sono infatti quelli forniti lo scorso 24 febbraio dal report della Commissione congiunta Cina-Oms, e parlano di un tasso di mortalità medio del 2,3%.

I DECESSI

Ecco, sulla base di questo assunto, i drammatici dati snocciolati per il primo anno di pandemia, Paese per Paese. Sono da prendere con le pinze, chiariscono i ricercatori, perché la diffusione del virus evolve rapidamente e, fortunatamente, anche le contromisure prese dalle autorità pubbliche. Se queste contromisure non dovessero essere all’altezza, o tempestive, il bilancio sarebbe il seguente. L’Italia rischia di contare 149mila morti, la Francia 147mila, la Germania 198mila. Oltremanica il quadro non sarebbe più roseo: il Regno Unito conterebbe 161mila vittime. Se il virus non dovesse essere contenuto, in Cina i decessi possono ammontare a 6 milioni e 985mila, in Russia 465mila, negli Stati Uniti a 589mila. Quest’ultima stima– precisano gli autori – può essere messa a paragone “con una regolare stagione di influenza negli Stati Uniti, dove muoiono circa 55mila persone”.

IL CROLLO DEL PIL ITALIANO (E MONDIALE)

Non meno drammatico il bilancio economico di un intero anno di pandemia, è bene precisarlo, in assenza di un drastico intervento pubblico per contenerla. Sempre seguendo lo scenario S05, il report prevede per l’Italia una perdita di 4,8 punti percentuali di Pil, per un ammontare di 123 miliardi di dollari. Negli Stati Uniti il conto rischia di ammontare a più di un triliardo di dollari (1,004), in Cina a 946 milioni. L’Eurozona, in media, perderebbe 4,8 punti percentuali di Pil. “Se una pandemia a breve termine sulla scia della febbre di Hong Kong si prevede possa ridurre il Pil globale di circa 2,4 triliardi di dollari – commentano i ricercatori – una più grave pandemia simile alla febbre spagnola può contrarre il Pil globale di 9 triliardi di dollari nel 2020”. Se il tasso di mortalità in Cina rimanesse intorno al 2,3% (le autorità cinesi parlano di un calo nelle ultime settimane, soprattutto nell’Hubei), la contrazione, prevede il modello, ammonterebbe fra i 2,33 e i 5,30 triliardi di dollari (scenari S04-S05).

SOLUZIONI DI BREVE E LUNGO PERIODO

In conclusione del paper, gli autori stilano una lista di soluzioni di breve e medio-lungo periodo per le autorità pubbliche. Le prime, e più immediate, sono di carattere sanitario. “Mettere in quarantena le persone colpite e ridurre su larga scala tutte le interazioni sociali è una risposta efficace. L’ampia diffusione di buone pratiche igieniche […] può essere una risposta a basso costo e molto efficace per ridurre l’estensione del contagio e di conseguenza il suo costo economico e sociale”. Quanto all’economia, sempre nel breve periodo, l’università australiana spiega che “le banche centrali e i Tesori devono assicurare che le economie colpite continuino a funzionare mentre la diffusione del virus continua”. Di fronte allo stress reale e finanziario, aggiungono, i governi hanno un ruolo cruciale: “Se il taglio dei tassi di interesse è una possibile risposta per le banche centrali, è anche vero che lo shock non è solo dovuto alla gestione della domanda ma a una crisi su più livelli che richiederà risposte sul piano monetario, fiscale e sanitario”. Più cruciali però sono le ricette di lungo periodo. Punto primo: reinvestire nei sistemi sanitari, dove troppo spesso si è registrata in questi anni “una riluttanza a investire a sufficienza”. Punto secondo: “L’idea che un Paese possa essere un’isola in una economia globale integrata è dimostrata falsa dallo scoppio del Covid-19. La cooperazione globale, soprattutto nella sfera della salute pubblica e dello sviluppo economico, è essenziale”.  Chiudere i confini del Paese quando “la malattia ha preso piede in tanti altri Paesi” significa semplicemente agire “troppo tardi”.

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