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Un conto è la buona fede, un altro conto è l’ingenuità. Di fronte a una delle più grandi crisi della storia repubblicana, il governo italiano, l’ingenuità, non può permettersela. Né possono permettersi di essere ingenui i media, che in questo momento più che mai hanno il dovere di informare, e informare bene. Sono bastate due settimane per trasformare la Cina da epicentro della pandemia a clemente e innocua spettatrice degli eventi.

Il coronavirus, ora, è un problema dell’Occidente. Dell’Italia, anzitutto. Dell’Europa, poi. Degli Stati Uniti, a breve. Questo almeno è quel che si capisce dalla lettura di autorevoli quotidiani nazionali, e anche di profili twitter di esponenti di primo piano della politica italiana, che rilanciano acriticamente la nuova pagina della propaganda di Pechino. Quella secondo cui il Covid19, in Cina, già sventola bandiera bianca. Ormai è un affare altrui, e la Cina è pronta a combatterlo offrendo generosamente aiuti, know-how, istruzioni su come replicare il “modello Wuhan”.

È di questo martedì una telefonata fra il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l’omologo cinese Wang Yi su una maxi-spedizione di “respiratori e mascherine” in arrivo a Roma dalla Città Proibita. “In futuro ci ricorderemo di tutti i Paesi che ci sono stati vicini in questo momento” ha ammonito severo Di Maio al termine del colloquio. Poi l’annuncio in pompa magna, sulla pagina ufficiale del Movimento Cinque Stelle, primo partito della maggioranza di governo. “L’amicizia e la solidarietà reciproca pagano” recita il post pentastellato, con tanto di dettagli e numeri sul carico made in China. O meglio, recitava il post. Perché, nel giro di pochi minuti, è scomparso nel nulla. Forse qualcuno ha fatto notare che, contemporaneamente, le agenzie battevano la stessa notizia, spiegando però che l’Italia si presta ad “acquistare”, non a ricevere, i ventilatori. La gaffe è bastata, intanto, a creare forti mal di pancia nell’ala “atlantica” del governo rossogiallo, ancora una volta.

Contemporaneamente, un post dell’ambasciata cinese in Italia su facebook riscuoteva grande successo. Stessa notizia, con una premessa: “La Cina è pronta a fare la sua parte in segno di profondo ringraziamento verso l’Italia”. Sotto, per ora, si contano più di 13.000 commenti. Un profluvio di ringraziamenti, ma anche di insulti, all’Europa, “fuori subito!”, agli Stati Uniti, perfino al Vaticano. Effetto voluto? Difficile che dispiaccia.

A tambur battente, i media governativi cinesi continuano a spendersi in una campagna di solidarietà verso l’Italia, descritta come un Paese che potrà uscire dalla fase acuta della pandemia grazie all’aiuto…della Cina (sic!). Il Global Times, megafono inglese del Partito comunista cinese (Pcc), rilancia su twitter una video intervista al viceministro della Salute italiano, il pentastellato Pierpaolo Sileri. Titolo: “Grazie, Cina, per aver condiviso il lavoro di prevenzione con noi!”. Sottotitolo: “Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute, loda la Cina per aver dato l’esempio nella lotta al Covid-19”. Testo, Sileri promette: “mutuiamo queste indicazioni e le facciamo nostre, e ovviamente le applichiamo nella nostra routine quotidiana”.

Il “modello Wuhan”, insomma, esercita un gran fascino sul governo italiano. Che vuole “mutuarlo” in casa propria, e loda la “vittoria finale” del governo cinese sul virus. Ma non solo dal governo c’è chi stende tappeti rossi. È arrivato, immancabile, il tweet di Michele Geraci, già sottosegretario al Mise con il governo gialloverde, conoscitore ed estimatore della Città Proibita. La spedizione di materiale promessa da Pechino, azzarda il professore, è “frutto del #Mou#ViaDellaSeta criticato dai nostri cosiddetti “esperti” che oggi non scrivono, of course”.

Ma è davvero da prendere a esempio il modello Wuhan? Nel centro dell’Hubei i contagi sono drasticamente diminuiti, vero. Ma Wuhan non è la Cina, e forse sarebbe bene chiedersi quali sono gli ultimi dati ufficiali, certificati dall’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità), condivisi con la comunità internazionale. Ecco, l’ultimo report della Commissione congiunta Cina-Oms sul Covid-19 risale alla settimana del 16-24 febbraio. Quasi un mese fa.

Sempre il Global Times si lamenta poi di chi sui media occidentali critica il “modello Wuhan”, e applaude la messa in quarantena del Nord Italia da parte di Palazzo Chigi, dimostrando “ignoranza e pregiudizio contro il sistema cinese”. Il foglio di partito finge di non vedere la differenza, e più di una voce nei palazzi della politica italiana sembra seguirlo.

“Da quando è iniziata l’epidemia, Wuhan si è trasformata nello stridente racconto di due storie diverse: una versione degli eventi approvata e depurata dal governo cinese – e una realtà molto differente sul terreno”, scrive Suzanne Nossell su Foreign Policy. Ecco la differenza: “Cittadini privati hanno postato video con il cellulare mentre la quarantena veniva imposta con la forza brutale: vicini e passanti che vengono trascinati e presi a calci mentre urlano per i corridoi e poi dentro dei camion, lavoratori che prendono a martellate le porte di appartamenti privati. Nel frattempo, i media controllati dallo Stato postavano un flusso costante di allegri frammenti di video che mostravano presunti pazienti danzare dietro i loro letti di ospedale”.

Li Wenliang, il dottore che per primo ha invano denunciato la malattia, è morto in solitudine. Xu Zhiyong, saggista e attivista che ha criticato la risposta di Xi Jinping al Covid-19, è in detenzione in un luogo segreto e rischia 15 anni di carcere per “sovversione”. Non si hanno più notizie, invece, di chi ha provato a raccontare una storia diversa. È il caso di Li Zehua, ex giornalista della CCTV (China central television), e dei giornalisti Fang Bin e Chen Qiushi. Anche questo è il “modello Wuhan” che in Italia fa incetta di applausi.

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