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La politica americana si compatta sulla crisi di Hong Kong. Il Congresso ha votato all’unanimità la legge sui “Diritti umani a Hong Kong”. Martedì è arrivato il via libera del Senato, ieri quello della Camera dei rappresentanti. Ora è il turno del presidente Donald Trump che, secondo indiscrezioni di Bloomberg, sarebbe pronto ad apporre la firma decisiva sul provvedimento.

Il disegno di legge prevede l’applicazione di misure ad hoc con cui il governo americano continuerà a rispettare lo “status speciale” di Hong Kong. Fra queste una revisione annuale da parte del Congresso dei rapporti commerciali con il “Porto profumato”, che sarebbe dunque esentato dai dazi imposti dall’amministrazione Trump ai beni importati dalla Cina.

Alcune delle previsioni contenute nel provvedimento sono direttamente legate alle proteste dei cittadini di Hong Kong contro il governo cinese e alla loro repressione. È il caso di sanzioni individuali contro i cittadini cinesi accusati di “violazione dei diritti umani”, ma anche del divieto dell’export verso Hong Kong di qualsiasi oggetto utilizzabile dalla polizia per “il controllo delle folle”, come gas lacrimogeni o proiettili di gomma.

Il voto unanime del Congresso segna un passaggio decisivo per la politica estera della presidenza Trump. Il tempismo con cui è arrivato il sì di Camera e Senato è ancora più significativo. In pieno procedimento preliminare di impeachment avviato dai democratici e all’indomani dell’audizione dell’ambasciatore americano presso l’Ue Gordon Sonland, che ha messo un peso da 90 sul materiale probatorio contro il presidente nel caso Ucraina, l’elefantino e l’asinello mettono da parte le reciproche diffidenze, almeno sulla politica estera.

“Il Congresso sta inviando al mondo un messaggio inequivocabile, ovvero che gli Stati Uniti solidarizzano con le persone libere a Hong Kong e supportano a pieno la loro lotta per la libertà” ha commentato la speaker della Camera Nancy Pelosi. “Faccio i miei applausi a Nancy Pelosi per aver agito energicamente e aver inviato questa legge direttamente sulla scrivania del presidente” le ha risposto il senatore repubblicano Marco Rubio.

La firma di Trump ci sarà, salvo colpi di scena. Forse anche oggi. Nell’attesa che il disegno approvato dal Congresso divenga legge il governo cinese ha risposto con una dura condanna dell’iniziativa. Il portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang questa mattina ha dichiarato che “se gli Stati Uniti insistono su questo percorso sbagliato, la Cina prenderà forti contromisure”.

Sulla stampa del Partito comunista cinese i toni si fanno più veementi. Il People’s Daily definisce la legge “un pezzo di carta igienica” e una “grave provocazione contro l’intero popolo cinese”. Sono solo gli ultimi di una lunga serie di avvertimenti di Pechino che hanno accompagnato la gestazione parlamentare del provvedimento e, parallelamente, i negoziati commerciali con Washington. Su questi pende ora più di un interrogativo. Se il decreto Hong Kong diventerà legge il governo cinese potrebbe decidere di non proseguire nella negoziazione, peraltro già arenatasi negli scorsi incontri a Washington. A suscitare i dubbi della Città Proibita, oltre a quello che sarebbe considerato un gravissimo affronto contro la politica “Una sola Cina”, contribuiscono le ultime sul procedimento preliminare di impeachment.

Perfino l’Iran si è espresso sulla firma, non a caso in concomitanza delle dure condanne del Dipartimento di Stato americano contro il governo di Hassan Rouhani per la repressione violenta delle proteste di piazza. “Dopo il ritiro dai trattati internazionali, le interferenze negli affari interni di altri Paesi sono diventate il secondo principio della politica estera del regime americano” ha tuonato il portavoce del ministero degli Esteri Abbas Mousavi.

(Foto: San Francisco Chronicle)

Trump si schiera con Hong Kong sui diritti umani. L'ira di Cina (e Iran)

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