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“Fitch conferma il suo rating sull’Italia, elencando una serie di riforme incompiute del nostro Paese, vuol dire che non basta avere un governo che si dichiara amico dell’Europa, che ha tolto dal tavolo opportunamente l’Italexit, per dormire sonni tranquilli”. A parlare in quest’intervista a Formiche.net è Francesco Daveri, economista e direttore del master MBA dell’Università Bocconi di Milano. Il “cartellino giallo” che Fitch ha dato alla solvibilità del debito italiano la dice lunga sulle “incompiute” dell’Italia anche perché vengono elencate minuziosamente: “alto debito pubblico, bassissimo andamento della crescita del Pil, incertezza della politica economica e rischi associati alle proiezioni sul debito”. E poiché da qui a maggio sono attesi anche i giudizi di Standard& Poor’s e di Moody’s, c’è da chiedersi se saranno i mercati a condizionare l’azione del Conte Bis. Intanto vedo un po’ di problemi interni di coesione nella maggioranza” premette Daveri “però è chiaro che il giudizio delle agenzie di rating conta”.

Fino a che punto?

È successo già in passato, è chiaro che il giudizio delle agenzie ha un peso specifico, anche se i mercati in questo momento sembrano essere abbastanza tranquilli, diciamo che sono distratti da altre cose e non si preoccupano tanto dell’Italia.

Ecco ma secondo lei la tripla B che accomuna Fitch e Standard & Poor’s sull’Italia è una giusta valutazione? Significa che i nostri titoli di Stato sono appena due gradini sopra dall’essere considerati junk, spazzatura…

Quello che noi proponiamo in più rispetto ad altri Paesi è che non abbiamo mai fatto default anche quando lo spread è arrivato a 550 punti base. E questo conta. Vuol dire che siamo un Paese che riesce a sopportare carichi di tassazione gravose che incidono sulla possibilità di crescita dell’economia ma, al tempo stesso, siamo dei buoni pagatori. E ai mercati finché vengono onorati i debiti sono più che contenti, tutto il resto diciamo che conta poco o meglio è un problema che riguarda gli affari interni italiani, i suoi cittadini.

Siamo anche tra i pochi a offrire un rendimento sui titoli di Stato…

Si certo, diciamo che un investitore che punta sull’Italia sa che difficilmente farà default e quindi ci guadagna dal comperare i nostri Btp, prova ne è che i grandi investitori esteri non sono scappati, anzi nel panorama dei bond internazionali considerano i nostri tra i più appetibili.

Tutto questo potrebbe anche portare, secondo lei, il governo Conte dopo la riduzione del cuneo fiscale a spingersi verso una vera riforma dell’Irpef?

Il grande tema è dove trovare le risorse. Si parla sempre di tagliare la spesa pubblica ma diciamo che questo è un puzzle che non è riuscito a risolvere ancora nessuno dei governi precedenti, di qualsiasi colore politico.

Anche perché trovare 20 miliardi non è semplice con la spending review. Forse l’ipotesi di rimodulare l’Iva andrebbe nella giusta direzione?

Il fatto di fare più imposte indirete e meno imposte dirette e che questo possa far ripartire la crescita è una favola che gira nelle organizzazioni internazionali ma che francamente mi sembra una strada molto fragile. Inoltre dobbiamo considerare il fatto che da noi l’Iva è già al 22% e non è poco rispetto agli altri Paesi, in più questo potrebbe deprimere i consumi in un Paese come il nostro dove l’attività produttiva è molto bassa. La strada maestra per finanziare la riduzione dell’Irpef è quella di ridurre le voci di spesa.

Quindi non ha senso rimodulare l’Iva?

Se lo si fa solo per fare cassa no. Ha senso rimodularla se si vanno a vedere tutte le voci. Ad esempio, quelli che oggi pagano il 4% appartengono davvero alla categoria di consumi essenziali o piuttosto sono il risultato di una attività lobbistica del passato?

Quindi come se ne esce?

Il messaggio è ok la riduzione dell’Irpef, tagliandola nel tempo facendo quel po’ di deficit perché ci vuole tempo per tagliare in modo sensato la spesa pubblica con un approccio manageriale. Lo aveva iniziato a fare il commissario Cottarelli ma poi questa attività non ha lasciato purtroppo un segno consistente. Inoltre secondo me accanto alla riforma dell’Irpef ci vorrebbe anche quella fiscale, mettere mano a tutti quei meccanismi di deduzioni e detrazioni per dare una vera e propria sforbiciata ad un sistema che è una vera giungla.

Da Fitch un cartellino giallo al governo. Parola di Francesco Daveri

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