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Con uno spread sui titoli di Stato diminuito di circa 100 base, dal giorno del giuramento di Conte 2.0, ci si poteva aspettare qualcosa di più. Ed invece il giudizio di Standard & Poor’s, rispetto al precedente governo giallo-verde non è cambiato. L’outlook resta BBB negativo. Ad un passo dallo junk: spazzatura. Anche se il panorama, in qualche modo, è cambiato. Il mutato atteggiamento nei confronti dell’Europa premia l’Italia, consentendogli un miglior coordinamento delle “politiche fiscali ed economiche”

Argomentazioni che dovrebbero far riflettere le stesse forze d’opposizione. Visto che a parlare non è la Merkel o Macron, ma un’agenzia di rating che opera a livello globale, con base negli Stati Uniti, il cui Presidente, Donald Trump, non è certo tenero con i vecchi alleati europei. La verità è che quel rapporto rimane imprescindibile. Si può, anzi si deve criticare, ma evitando fughe in avanti, la cui prospettiva ha un valore pari a zero. Dimostra semmai la pochezza di una classe dirigente che è solo capace di sparare alla luna. Quando invece serve il sangue freddo, dimostrato da Mario Draghi nella sua lunga gestione della Bce.

Per il resto, l’analisi è impietosa. Da troppo tempo l’Italia non si confronta con la Francia o la Germania, per non parlare della Spagna o del Portogallo. La stessa Grecia è cresciuta nelle considerazioni dell’Agenzia che ha migliorato il relativo rating da BB a B con outlook positivo. Secondo i dati dell’Ocse, dal 1995 il tasso di crescita italiano era stato superiore solo al Brasile e l’Argentina. Oggi dall’altra sponda dell’Atlantico, una nuova doccia scozzese. “La crescita del 2019 – è detto nel comunicato – “è la terza più bassa fra le maggiori economie, dopo Turchia ed Argentina”. Un ben triste primato che non fa certo onore all’intelligenza ed alle reali capacità dei suoi abitanti.

Anche perché “invece di spendere – infierisce la nota – le famiglie e le aziende italiane continuano a costruire risparmi precauzionali, complicando gli sforzi del settore pubblico per ridurre il debito pubblico”. Obiettivo, si deve solo aggiungere, che può essere raggiunto solo aumentando il potenziale di crescita del Paese. Un semplice esempio può chiarire l’arcano. Se il Pil per il 2020 fosse aumentato del 2,56 per cento, in termini nominali; invece che dell’1,96 per cento previsto dalla Nota di aggiornamento del Def, l’invarianza del rapporto debito – Pil (al 135,2 per cento, secondo la NADEF) si sarebbe potuta ottenere con un deficit del 3 per cento, anziché del 2,2, come previsto dal Governo.

Il che avrebbe significato 14,5 miliardi in più da poter utilizzare: che sommati ai 23,1 necessari per evitare l’aumento dell’Iva danno un capitale spendibile di oltre 37 miliardi di euro. Una riserva, pari a circa il 15 per cento del gettito delle imposte dirette, più che sufficiente per avviare una riforma fiscale degna di questo nome. Che tra l’altro avrebbe consentito di modulare meglio il rapporto tra imposte dirette ed in indirette, per trovare la via migliore in grado di rilanciare un’economia, da troppo tempo, ripiegata sé stessa.

Queste contraddizioni sono colte da tutti, meno che dalla maggioranza che oggi sorregge il governo Conte, che continua a promettere un domani migliore in una stanca liturgia. Tuttavia sempre meno credibile. “La debole crescita reale e nominale – ribadisce l’Agenzia – rimane il principale rischio a medio termine per l’affidabilità creditizia dell’Italia e per il suo percorso fiscale”: quasi un epitaffio. Si dirà – cosa buona e giusta – che simili tentativi richiedono un orizzonte di medio periodo. Un Governo che non è costretto a stare con il fiato sospeso ad ogni elezione regionale: una specie di percorso di guerra per i prossimi mesi. Il che è indubbiamente vero.

Ma per risolvere il problema ci sono, anzi c’erano, le soluzioni politiche ed istituzionali, sulle quali è inutile piangere. Forse verranno, forse no. Ma anche a prescindere, è necessaria una sveglia. Se il problema di fondo è lo sviluppo, si pensi soprattutto a questo. Si cerchino le ricette necessarie, mettendo da parte “quota cento” e salario di cittadinanza. Per redistribuire le risorse che verranno create da questo nuovo impegno civile, c’è sempre tempo. Se no, come diceva Deng Xiaoping, il grande artefice della rinascita cinese, si può solo amministrare la miseria.

Perché il giudizio di Standard and Poor's deve far riflettere. Il commento di Polillo

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