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“L’Arabia Saudita è alla ricerca di una soluzione politica per la crisi in Yemen”, con “16 miliardi di dollari in aiuti umanitari dal 2015” a fronte dei “missili che fornisce l’Iran”. Parola di Abdullah Al Rabeeah, consigliere della Corte reale dell’Arabia Saudita, che a Roma ha partecipato alla conferenza “Supporting Yemeni People – Humanitarian approach to secure peace”, organizzata dall’ambasciata di Riad in Italia con il patrocinio del KSrelief, l’ente umanitario saudita (intitolato al re Salman) di cui Rabeeah è supervisore generale.

TRA OBIETTIVI E RESPONSABILITA’

L’obiettivo dell’evento, ha chiarito da subito il moderatore, il presidente dell’Euro-Gulf Information Center Mitchell Belfer, era indagare le “misure per la stabilizzazione dello Yemen che devono essere intraprese a livello internazionale”. Le responsabilità sono state altrettanto immediatamente chiarite: “Assistiamo oggi alle conseguenze delle operazioni intraprese dall’Iran e dei ribelli Huti”. Responsabilità su cui si sono ritrovati chiaramente d’accordo anche i due rappresentati del governo di Mansur Hadi, l’esecutivo appoggiato da Riad e costretto a lasciare la capitale Sana’a nel 2015 in seguito alla presa della città da parte dei ribelli. Il ministro dell’Amministrazione locale Saif Fateh Al Dubai e il collega per i Diritti umani Mohammed Mohsen Alskar hanno entrambi condannato “il colpo di Stato da parte di una minoranza dotata di milizie armate”, ringraziato la “coalizione guidata dall’Arabia Saudita” e chiesto “un’azione più determinata” alla comunità internazionale “per il popolo yemenita”.

UN’EMERGENZA UMANITARIA

La situazione sul campo è senza dubbio critica, con tutti i caratteri di un’emergenza umanitaria. Su una popolazione di poco più di 30 milioni, oggi nello Yemen sono oltre 24 milioni le persone che vivono grazie agli aiuti umanitari, ha ricordato il consigliere della Corte di Riad. Il Paese, gli ha fatto eco Rehan Asad del Wolrd Food Programma, presenta il tasso più alto di insicurezza alimentare al mondo. Gli sfollati interni sfiorano i 5 milioni, metà della popolazione vive in condizioni di scarsità di accesso all’acqua potabile e centomila mine anti-uomo sono distribuite su tutto il territorio. Insomma, siamo di fronte a “un crocevia di tragedia, fame e disperazione”, ha notato Stefania Craxi, vice presidente della Commissione Esteri di palazzo Madama in quota Forza Italia.

ALLA RICERCA DI STABILITA’

Di fronte a questi numeri, ha dunque affermato Rabeeah, “la coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita è intervenuta non per fare guerra agli Huti, ma per aiutare il popolo yemenita”. Dall’inizio del conflitto, ha aggiunto, Riad “ha investito oltre 16 miliardi di dollari tra sforzi di soccorso diretto e sostegno agli sfollati”. Il fondo KSrelief “ha condotto e conduce 371 progetti in Yemen per un totale di più di 2,3 miliardi di dollari”. Eppure, ciò evidentemente non basta. “Occorre che si giunga a una soluzione politica del conflitto”, ha detto Rabeeah, spiegando che l’Arabia Saudita “è alla ricerca di questa soluzione, in linea con le risoluzioni dell’Onu e con le decisioni del Consiglio di cooperazione del Golfo”.

LE COLPE DELL’IRAN

Le colpe, hanno sottolineato più volte i rappresentanti del governo Hadi, sono da rintracciare “nelle azioni dei golpisti Huti e dell’Iran”. Alle loro parole si sono aggiunte quelle di Rabeeah, che ha ricordato alla platea romana “i 254 missili Scud e i 233 attacchi di droni condotti dai ribelli contro l’Arabia Saudita”, con tanto di immagini delle raffinerie di petrolio colpite e la nota sul fatto che in Yemen “non è possibile produrre neanche un proiettile”. E così, “che io sappia – ha aggiunto rispondendo a una domanda dal pubblico – l’Iran non offre alcun aiuto umanitario oltre i missili che colpiscono lo Yemen e il Paese che vi è vicino”.

IL DIBATTITO SULLA DISTRIBUZIONE DELLE RISORSE

Sul fronte degli aiuti umanitari, alcune richieste sono state avanzate dai rappresentati del governo Hadi. È stato in particolare il ministro Fateh Al Dubai a chiedere che “il controllo sulla distribuzione degli aiuti sia affidato al governo legittimo così che questi giungano a tutti coloro che ne hanno bisogno”. Ad ora, ha spiegato, “il problema è che gli aiuti passano dai porti che sono sotto il controllo delle milizie Huti”. Gli ha risposto Rehan Asad del World Food Programme, ricordando che le organizzazione internazionali non possono affidarsi a una o all’altra parte nella distribuzione delle risorse. Il rischio, altrimenti, è che non vadano effettivamente a tutti.

OCCHIO AI DIRITTI UMANI

Al centro di ogni valutazione ci deve essere “il rispetto per i diritti umani, a partire dall’imprescindibile diritto alla vita”, ha detto Stefania Craxi. “Oggi sono qui – ha spiegato la senatrice – perché credo che il dialogo e la diplomazia, specie in contesti delicati come questo, siano la sola arma possibile”. La pace, ha rimarcato, “non è un dono di Dio, ma il frutto di impegno e sacrificio”. Per questo, oltre le parti, “servono momenti di conoscenza e approfondimento”. Difatti, ha rimarcato, “siamo di fronte a una tragedia del nostro tempo, un conflitto dimenticato su cui la comunità internazionale appare fortemente divisa”. Dalla soluzione di tale divisione occorre ripartire: “L’Europa e l’Occidente – ha detto concludendo Stefania Craxi – hanno l’obbligo morale di affrontare il problema”.

La crisi umanitaria in Yemen non è finita e... La versione (da leggere!) di Riad

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