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Ironia della sorte, gli Stati Uniti hanno coordinato l’operazione per uccidere il comandante della forza di élite iraniana Quds – il generale Qassem Soleimani – meno di 24 ore dopo che la Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, si è vantato di come non ci fosse nulla che gli Stati Uniti potessero fare per fermare l’assedio all’ambasciata americana di Kata’ib Hezbollah, organizzazione proxy dell’Iran in Iraq. Nessun mistero dietro l’uccisione: con rapidità gli Stati Uniti hanno localizzato ed eliminato Soleimani segnando un grande cambiamento nella strategia verso l’Iran.

Se buona parte del discorso pubblico sull’Iran è legato al naufragato accordo sul nucleare Jcpoa (Joint Comprehensive Plan of Action), il ruolo paramilitare di Teheran nella regione (e oltre) è rimasto a lungo inosservato. Questo non significa che sia un ruolo minore, tutt’altro. Dai campi di battaglia in Yemen alla pulizia etnica di intere fasce della Siria settentrionale, dal decennio di guerriglia settaria in Iraq alla valanga di assassini mirati per l’Europa, le responsabilità dell’Iran e di Soleimani sono ben note. Il generale ha sempre agito impunito, e aveva le sue ragioni.

Per quasi un decennio l’Iran è infatti sembrato incamminato su una scia interminabile di vittorie. Ha catturato lo Stato iracheno attraverso le sue Unità di mobilitazione popolare (Pmu), utilizzato una guerra fantasma contro Daesh – altri, come i curdi, hanno svolto il lavoro pesante mentre Teheran gridava vittoria – per strappare posizioni strategiche in Siria, ha portato nella sua orbita rivoluzionaria lo Yemen e il Libano attraverso i suoi proxies. Anche Stati del Golfo come Bahrain o Arabia Saudita hanno dovuto fronteggiare cellule terroristiche finanziate da Teheran. L’Iran ha attaccato Aramco, preso di mira petroliere internazionali nello Stretto di Hormuz, diviso l’opinione pubblica dei Paesi transatlantici. Tutto questo nella convinzione che gli Stati Uniti sarebbero rimasti a guardare.

Questa lettura distorta del potere americano, scambiando l’attendismo strategico degli Stati Uniti con la loro incapacità ad agire, ha portato il Corpo della Guardia Islamica Rivoluzionaria (Irgc) sotto il generale Mohammed Ali Jafari e poi con il generale Hossein Salami a sguinzagliare Soleimani come uomo di punta per consolidare la posizione dell’Iran nella regione. Lo ha fatto con grande rapidità e zelo. Ma ha calcolato male il suo potere e quello del suo avversario – e questo gli è costato caro.

Nelle prime ore del 3 gennaio, a una settimana dall’inizio dell’assedio di Kata’ib Hezbollah all’ambasciata americana e dall’ordine di utilizzare la forza letale contro i ribelli nel Sud dell’Iraq, Soleimani viaggiava insieme al comandante delle Pmu Abu Mahdi al-Muhandis verso l’aeroporto di Baghdad, passando accanto alla base americana, quasi a deridere ulteriormente la supposta impotenza degli Stati Uniti. La sua arroganza è risultata fatale. Che sia stato per le elezioni presidenziali in arrivo, l’escalation di minacce contro l’ambasciata americana e il suo personale o per dare una risposta tardiva all’uso della violenza contro gli Stati Uniti e i loro alleati regionali da parte dell’Iran, la decisione è stata presa per fare un occhio nero a Teheran.

Da quel momento ha iniziato ad echeggiare un coro incessante di condanne contro gli Stati Uniti. Queste persone si scandalizzano per l’uccisione di Soleimani ma non per le sue operazioni internazionali che sono costate migliaia di vite. Soleimani è stato ucciso perché lui per primo ha ucciso. È stato colpito perché la sua morte invii un messaggio all’Iran e ai suoi proxies: gli Stati Uniti non sono nella regione come carne da macello per le pistole iraniane, e risponderanno a qualsiasi provocazione.

Fra gli alleati degli Stati Uniti nel Golfo, sebbene ci sia il timore di essere presi di mira dalla vendetta dei Pasdaran, di Hezbollah e dei ribelli Houthi, il livello di minaccia non è significativamente aumentato. L’Iran già conduceva atti di guerriglia balistica contro l’Arabia Saudita, Hezbollah già bombardava il Bahrain. Qualcosa però è cambiato: ora non ci saranno più restrizioni e gli Stati Uniti interverranno a difesa dei loro alleati.

Nessuno sa cosa può succedere ora. Tuttavia, se la Repubblica islamica fosse anche solo prudente la metà di quel che dice di essere, l’Ayatollah dovrebbe far fare un passo indietro al suo Paese oppure fare i conti con la punizione degli Stati Uniti. Con le continue sommosse popolari in Iran, il respingimento in Libano e Iraq e ora la rappresaglia americana, il 2020 potrebbe davvero scrivere la fine dell’ideale rivoluzionario khomeinista, iniziata con l’uccisione di un assassino seriale.

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Di Mitchell Belfer

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