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“Un elemento decisivo per il prestigio del nostro Paese”. Così il presidente Sergio Mattarella ha definito la partecipazione dei militari italiani alle missioni internazionali, rivolgendosi direttamente a loro tramite il tradizionale collegamento dalla base di Centocelle, a Roma, sede del Comando operativo di vertice interforze (Coi). Con lui c’era il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che ha ribadito alcune delle linee programmatiche del suo dicastero: la stagione delle missioni all’estero è tutt’altro che conclusa e passa necessariamente dal rinnovamento dello spirito euro-atlantico.

LE PAROLE DI MATTARELLA…

Presenti tutti i vertici delle Forze armate, a partire dal capo di Stato maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli, accolti all’aeroporto Baracca dal generale Luciano Portolano, alla guida del Coi dallo scorso agosto. Il Comando ha responsabilità su tutti gli impegni militari nel senso stretto del termine, che oggi coinvolgono più di 12.500 uomini, di cui circa 5.600 impegnati all’estero in 34 missioni in 25 Paesi. Diciotto di tali teatri, dal Libano al Kosovo, dall’Iraq alla Somalia, hanno ricevuto oggi gli auguri in diretta dal presidente della Repubblica. “Per me questo è un appuntamento irrinunciabile”, ha detto il capo dello Stato, riportando l’apprezzamento che registra “da tanti capi di Stato per l’alta professionalità e la capacità nei rapporti umani dei nostri militari”.

…E LA STRATEGIA DI GUERINI

Il collegamento con le truppe al di fuori dei confini nazionali è stato anticipato dalle parole di Guerini, reduce dalla tre-giorni tra Iraq e Kuwait. Per il titolare di palazzo Baracchini l’occasione è stata utile per stroncare da subito eventuali proposte nel dibattito politico di riduzioni degli impegni all’estero, in vista del Pacchetto missioni che il Parlamento dovrà approvare per autorizzare i dispiegamenti nel prossimo anno. “Oggi la stagione delle missioni internazionali è tutt’altro che conclusa”, ha detto Guerini. “Restano, anzi, fondamentali le missioni della Nato nei Balcani occidentali, nel Mediterraneo allargato, in Afghanistan”. Per questo, ha rimarcato, “porteremo avanti le iniziative di stabilizzazione già avviate anche in stretto partenariato con le Nazioni Unite e con i Paesi del nord Africa e del Sahel”. La priorità, ancora più evidente in questi giorni, è la Libia, “la cui stabilizzazione è cruciale per l’intera regione”.

TRA NATO E DIFESA EUROPEA

Sono pure “essenziali per il mantenimento della sicurezza le operazioni a guida europea, molte delle quali vedono l’Italia fortemente impegnata”. D’altra parte, quale espressione della politica estera, la politica di difesa si colloca nel binario della tradizionale postura internazionale del Paese, tra Unione europea a Nato. Per questo, ha detto Guerini, “esercitare la nostra azione nel quadro di un rinnovato senso di solidarietà europea e transatlantica è una necessità”. Vuol dire “collocarci in un orizzonte europeo nella sua accezione più ampia ed inclusiva, tenendo stretti i nostri legami con la Nato”. Nessuna fuga in avanti per un’Europa slegata dagli Stati Uniti dunque, come invece vorrebbe ad esempio la Francia di Emmanual Macron, sostenitrice di una visione esclusiva della Difesa comune con pochi Paesi a guidare il progetto.

IL NODO DELLA BREXIT

L’Italia punta all’inclusività, con la stessa linea (supportata anche dalla Germania) che ha prevalso per i progetti della cooperazione strutturata permanente (la Pesco) a cui hanno aderito ben 25 Paesi. Lasciare aperta la porta è per Guerini “un obiettivo ancor più rilevante, oggi, alla luce della Brexit e dei futuri rapporti con il Regno Unito, con cui l’Unione europea dovrà continuare a mantenere un legame privilegiato”. Il nodo riguarda il ruolo di Londra nella nascente Difesa europea, che tra l’altro rischia di subire una battuta d’arresto nei negoziati sul prossimo bilancio dell’Ue. I primi risultati del Consiglio dell’Ue mostrano una riduzione del livello di finanziamenti previsti per il Fondo europeo di Difesa, che passerebbe dai 13 miliardi proposti dalla Commissione a 6 miliardi.

TRA SOFT E HARD POWER

L’ambizione italiana eccede comunque il contesto continentale. Le missioni all’estero rappresentano una componente fondamentale della proiezione esterna, consolidando il ruolo internazionale del Paese, mantenendo aggiornate le Forze armate e rafforzando i rapporti con alleati e partner. Per questo, in Patria, è opportuno squarciare il velo dell’ipocrisia e rilanciare la cultura della Difesa, concetto caro al titolare di palazzo Baracchini, anche sul valore degli impegni fuori dai confini. Come notato da Guerini, “siamo un Paese che ha sempre saputo fornire un grosso contributo alla composizione delle controversie internazionali, sia con lo strumento della diplomazia sia con l’uso ragionato della forza”. Secondo il ministro della Difesa, “siamo una delle nazioni più attrezzate per combinare queste due componenti”, quelle che riguardano soft e hard power. In termini operativi, ciò si traduce nella predilezione del capacity building, area in cui le forze armate italiane eccellono da ormai diversi anni. Infine, ha detto concludendo Guerini, “nel Medio Oriente, in Afghanistan, in Libano e in tanti altri scenari del mondo abbiamo un’idea forte delle relazioni internazionali, un’idea fondata sul diritto e sulla stabilizzazione degli scenari di sicurezza attraverso il rafforzamento delle entità statuali al cui fianco la comunità internazionale si è schierata”.

Perché le missioni all'estero servono (anche) all'Italia. Le parole di Mattarella e Guerini

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