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Siamo tutti preoccupati e spaventati per questa emergenza sanitaria. Soprattutto i tanti che come me non hanno mai vissuto una guerra o un cataclisma (se non nel racconto dei nonni).

Probabilmente non è la fine “del” mondo, ma la fine di “un” mondo, cioè di quel mondo in cui abbiamo vissuto fino a una decina di giorni fa, un mondo dorato in cui eravamo preoccupati soprattutto da lavoro, successo, relazioni, viaggi, posizionamento sui social network.

Il Governo e le Regioni stanno gestendo al meglio l’emergenza, con tutti gli strumenti costituzionali, ma dimostrando che nel nostro sistema abbiamo troppi enti e troppe competenze differenziate, che non consentono scelte rapide e coordinate. E senza la presenza di una azione organica dell’Unione europea, necessaria soprattutto a fronte di un fenomeno mondiale come il coronavirus.

Ma di questo ci dovremo preoccupare dopo, quando l’emergenza sarà passata, cioè tra un paio di mesi, come dimostra quanto accaduto in Cina. Dopo dovremo preoccuparci anche del nostro sistema sanitario, che malgrado i tagli pluriennali e la diaspora di competenze sta reggendo, ma anche grande alla grande abnegazione di molti.

E soprattutto dovremo preoccuparci della crisi economica che ne discenderà. Turismo fermo, produzione industriale in difficoltà, tante categorie soprattutto di professionisti, piccoli imprenditori e partite iva in affanno.

Servirà sicuramente una grande operazione di rilancio dell’economia. Un po’ come fu il Piano Marshall dopo la Seconda guerra mondiale, anche se qui non ci possiamo aspettare grandi aiuti, se non dall’Europa. Dovremo rilanciare investimenti, opere pubbliche e attività private, soprattutto, semplificando per davvero le gabbie burocratiche che ci attanagliano.

È vero che la Cina è un regime totalitario, ma lì riescono a costruire un ospedale in dieci giorni, mentre noi in dieci giorni riusciamo solo a convocare la conferenza di servizi propedeutica alla progettazione dell’ospedale. Che poi sarà costruito, forse già obsoleto, in parecchi anni.

Nei corridoi dei palazzi, serpeggia un dubbio. Per fare tutto questo sarà idoneo il (già prima traballante) Governo Conte II o sarà necessario un Governo forte di unità nazionale, che – si sussurra – potrebbe essere guidato da Mario Draghi?

Coronavirus, è il momento di un governo Draghi? Gli scenari di Celotto

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