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È gialloverde, non giallorossa, la carta che Giuseppe Conte può giocare oggi per tenere in salute i rapporti con il governo americano e Donald Trump. Ne è convinto Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group e politologo della New York University, che a Formiche.net spiega: se l’avvocato gode ancora della simpatia del Tycoon deve dire grazie all’euroscetticismo del governo Lega-Cinque Stelle. Non sempre, però, la simpatia è abbastanza. Con una maggioranza pericolante e la crisi che bussa alla porta le possibilità di conquistare un posto al sole nella Nato sono bassissime.

Conte oggi incontrerà Trump al summit Nato di Londra. Due mesi fa il presidente Usa ha accolto la nascita del suo governo con un tweet di endorsement. L’avvocato gode ancora dei favori della Casa Bianca?

Direi di sì. Dopotutto Conte ha guidato per un anno un governo europeo che è stato profondamente ostile a Bruxelles e questo ancora oggi gli fa guadagnare il favore dell’amministrazione Trump. Il suo attuale governo ha abbracciato un approccio molto più costruttivo con l’Ue, potrebbe invertire il trend.

Non sarà passata inosservata a Washingtn DC la vicinanza di questo governo alla Cina di Xi Jinping. Può diventare un problema?

Certamente sì, anche perché gli stessi rapporti fra Stati Uniti e Cina non faranno che peggiorare. Soprattutto per ciò che riguarda il 5G e le nuove tecnologie, due frontiere dove i Paesi europei saranno presto obbligati a scegliere da quale parte stare.

L’Italia ha qualche chance di diventare il partner privilegiato degli Stati Uniti all’interno della Nato?

A giudicare dalla sua disfunzione politica, e dalla velocità con cui i governi italiani e di conseguenza le loro politiche vengono troncati, direi proprio di no.

Anche Francia e Germania hanno le loro divergenze con Washington. Chi dei due è considerato un alleato più affidabile dagli americani?

Questa è difficile. La Francia ha fatto della Difesa una priorità dell’agenda politica, e Macron può vantare un rapporto personale con Trump migliore di Merkel. La Germania è più in linea con i valori di lunga data, l’architettura istituzionale e la strategia europea degli Stati Uniti. Non dimentichiamo però che buona parte delle controversie con gli alleati europei ha direttamente a che fare con la personalità di Trump. Il che ci porta a un’amara constatazione: dei tre sono gli Stati Uniti il partner meno affidabile.

Quali sono i temi in cima all’agenda di questo summit?

Iniziamo dalle ovvietà. Non siamo tanto di fronte a un incontro sostanziale della più potente alleanza militare al mondo quanto all’ennesima, gloriosa photo-opportunity. Qualsiasi tentativo genuino di affrontare “dossier urgenti” sarà minimo.

Perché?

La Nato sta facendo i conti con una crisi esistenziale. La sua coesione interna è stata messa in discussione dai suoi stessi membri. Prima dagli americani, basti ricordare cosa pensa Trump dell’articolo 5. Poi dai turchi, che hanno acquistato il sistema missilistico S-400 dalla Russia. Infine i francesi, il cui presidente Emmanuel Macron ha definito l’alleanza “cerebralmente morta”. Prima di trovare una soluzione ai problemi esterni all’alleanza, la Nato deve fare lavare i panni in casa. E non è questo il contesto in cui può farlo.

Quanto a lungo la Nato potrà rimandare la questione turca?

Per un po’ si potrà nascondere la polvere sotto il tappeto. Non c’è al momento un meccanismo per mettere alla porta un membro dell’Alleanza. Trump ha fatto capire di essere sotto pressione del Congresso americano e che le sanzioni ad Ankara rimarranno. A uno sguardo più in profondità alla questione siriana dobbiamo però riconoscere che la tragedia è stata evitata.

Cioè?

I russi hanno riempito il vuoto creatosi e i curdi si sono allineati a Mosca. Per di più per Erdogan sarà difficile sopravvivere al potere oltre le prossime elezioni. Insomma, le tensioni sulla partecipazione della Turchia alla Nato aumenteranno nel breve periodo ma si intravede una luce alla fine del tunnel.

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