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L’Isis è stato sconfitto sul campo, ma non sul web. La nuova sfida si muove a colpi cyber-secuirty, chat end-to-end e crittografia, con lo Stato islamico che ha saputo evolversi in “Califfato virtuale” allo scopo di raccogliere proseliti e portare avanti una “jihad globale”. È quanto si legge nell’analisi del Centro studi internazionali, curata da Daniele Barone e dedicata a “La digitalizzazione del Califfato e le nuove forme di conflitto di Daesh”.

L’ISIS È ANCORA UNA MINACCIA

“La quasi definitiva disfatta del cosiddetto Stato islamico in Siria e Iraq non ha condotto alla fine dell’organizzazione, ma ha altresì mostrato la vera natura endemica dell’ideologia religiosa estremista del gruppo”, spiega l’analisi. La sconfitta sul campo e le difficoltà registrate nei diversi Paesi in cui si era diffuso l’Isis, “hanno reso sempre più indispensabile l’attività comunicativa del gruppo sul web per mantenere la coesione tra i suoi membri, sempre più numerosi, sparpagliati e di giovane età”. Ciò ha determinato un’evoluzione del messaggio: “L’idea di un califfato che concedeva a coloro che varcavano i suoi confini di perdonare i peccati commessi, garantendo inoltre una ricompensa in termini economici e di riconoscimento sociale immediati già in vita, si è tramutata in leggenda”.

DALLO STATO ALLA JIHAD GLOBALE

Così, nota Barone, “il ricordo di quanto ottenuto dall’organizzazione terroristica con la dominazione in Siria ed Iraq si è trasformato in un incoraggiamento alla jihad a livello globale, per riproporre quanto ottenuto in termini di dominazione dal 2015 al 2017, su scala mondiale”. Quindi, il Daesh “diventa una sorta di incubatore globale per tutti i gruppi indipendenti e gli individui privi di guida che vogliono partecipare, per qualsiasi ragione, alla jihad, parlandogli senza intermediari”. Tale resilienza si è manifestata anche nei confronti del “clima sempre più inospitale riservato alla propaganda jihadista sui social network”. Così, “dopo un primo massiccio utilizzo dei social media che ha visto il messaggio del califfato diventare virale attraverso Facebook, Twitter o canali Youtube, oggi, questi strumenti di comunicazione hanno mantenuto per l’organizzazione terroristica solo la peculiarità di diffondere contenuti ad un bacino di utenza generico, da introdurre successivamente nel tunnel dei canali più anonimi ed espliciti in termini di ideologia estremista”. A predominare sono adesso chat end-to-end, “le quali, nonostante offrano meno visibilità, consentono di stabilire un rapporto più intimo e colloquiale tra gli attivisti”.

I NUMERI

A farla da padrone è Telegram. Secondo il Telegram tracker 2018 del “Program on Extremism” della George Washington University, esistono quasi 700 canali filo-Daesh, ricorda l’analisi del Cesi. “Sui canali Telegram degli attivisti di Daesh il principale argomento di conversazione riguarda le operazioni di Is in Iraq e Siria (57%)”. Seguono le attività di Daesh in altre parti del mondo, degli eventi negli Stati Uniti e in Europa, contenuti riguardanti la cyber-security (14%) e gli attacchi jihadisti in nord America ed Europa. È il “califfato virtuale”, che si muove e si adatta online. “Un modo per sopperire all’impossibilità di creare contenuti che diventino virali in poco tempo, come avveniva prima che aumentassero i controlli sulle piattaforme social, che ha anche un risvolto positivo per gli jihadisti: stabilire un rapporto più diretto ed intimo con gli altri utenti per creare un terreno fertile per il processo di radicalizzazione online”.

IL TEMA DELLA CYBER-SECURITY

“L’attenzione alla cyber security è un argomento ricorrente nelle conversazioni tra attivisti”. Si parla di aspetti tecnici, con informazioni su software di crittografia, ma anche di nuove chat che permettano “di trovare uno spazio virtuale più stabile, duraturo e anonimo su cui poter fare proselitismo”. È frequente su Telegram, nota Barone, la diffusione di materiale di approfondimento (link ad altri siti web e documenti) o propagandistico (immagini e video). Rappresenta “il serbatoio di propaganda, consentendo un reperimento facile e sempre aggiornato di materiale jihadista”. Tale evoluzione si sta dimostrando efficace. “Pur sembrando una struttura disordinata, l’autonomia concessa (casualmente o volutamente) a piccoli gruppi o individui nell’ecosistema della comunicazione online dell’organizzazione terroristica si è dimostrata una strategia di sopravvivenza vincente, che sta concedendo ai vertici di riorganizzarsi, educando nel contempo i propri membri a una guerra senza fine in nome del jihad”.

MODALITÀ DI CONTRASTO

L’analisi del Cesi offre tuttavia anche indicazioni importanti sulle modalità di contrasto. “Sarebbe opportuno intervenire creando una regolamentazione chiara ed internazionale riguardante i servizi di chat end-to-end”. In particolare, “un intervento coordinato tra autorità e settore privato potrebbe facilitare l’individuazione di soggetti pericolosi e bloccare sul nascere le strategie di radicalizzazione messe in atto online”. Il tema resta comunque ideologico, poiché “l’ideologia ha fatto da vero collante, mentre il web ha rappresentato solo uno strumento”. In definitiva, conclude Daniele Barone, “per contrastare l’espansione ideologica, virtuale e territoriale di Daesh, è cruciale riuscire ad essere sempre al passo con il polimorfismo della sua propaganda e contrastarla di volta in volta”.

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