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Nei giorni scorsi sui social c’è stato, e continua tutt’ora, un profluvio di interventi, dall’indignato all’ironico, sull’incauta affermazione di un giornalista del Corriere della Sera che, sabato scorso, nel descrivere le convulsioni e le divisioni all’interno del Movimento 5 stelle, aveva definito, rispetto agli esponenti dell’ala “movimentista”, Luigi Di Maio un “liberale”.

Probabilmente, il “profluvio” di cui sopra nasce dall’errore prospettico generato ai miei occhi dall’essere investito di attenzione da un algoritmo molto sensibile, diciamo così, a tutto ciò che si muove in area liberale. Fatto sta che gli interventi, su questa frase infelice, sono stati veramente tanti, anche da parte di cari amici con cui condivido molte idee. Ragionando a mente fredda su questo fatto, noto però alcune dissonanze che non mi fanno, questa volta, associare al coro. E cerco di spiegare perché.

Di Maio è sicuramente e assolutamente un non liberale, ma perfettamente nella misura in cui lo è. Voglio dire che se ragioniamo con questa categoria, e misuriamo l’indice di liberalismo presente nei Cinque Stelle o nel suo capo politico e negli altri leader, tutto faremo fuorché capire questo strano fenomeno “populistico”: come è nato, come si è sviluppato e come probabilmente, prima o poi, per le sue stesse contraddizioni, imploderà o si evolverà in qualcosa d’altro. Col liberalismo Di Maio non c’entra proprio o quasi nulla, ma non perché è un non liberale ma perché la sua partita si gioca su un altro terreno.

La solerte attenzione degli amici liberali, per una frase sicuramente dal sen fuggita al povero giornalista, denota poi a mio avviso, un’altro punto da non sottovalutare. I tanti liberali sparsi sulla rete, e forse nella società, in mille tribù alla ricerca di una comune identità, si sono trasformati ormai ai nostri giorni in qualcosa di molto lontano dal liberalismo classico: una sorta di teologi liberali. Essi hanno costruito, voglio dire, un modello più o meno fisso e rigido di “puro” liberalismo che poi, con un metodo “applicativo” del tutto simile a quello delle vecchie ideologie, cioè con un movimento che va dall’alto in basso, usano per dare giudizi sulla realtà politica e non solo.

Devo dire che il liberalismo che ho fatto mio e in cui sempre ho creduto, e che in questo senso credo “eterno”, è stato in passato ed è a maggior ragione oggi un’altra cosa: un metodo che non si pone come giudice davanti alla realtà di fatto o politica, ma ne prende atto, cerca di capirla (anche nella sua novità rispetto al passato), e poi, solo poi, la critica se del caso e cerca di incanalarla, se possibile, verso fini di libertà e non di illibertà.

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Nei giorni scorsi sui social c’è stato, e continua tutt’ora, un profluvio di interventi, dall’indignato all’ironico, sull’incauta affermazione di un giornalista del Corriere della Sera che, sabato scorso, nel descrivere le convulsioni e le divisioni all’interno del Movimento 5 stelle, aveva definito, rispetto agli esponenti dell’ala “movimentista”, Luigi Di Maio un “liberale”. Probabilmente, il “profluvio” di cui sopra nasce dall’errore…

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