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Dal (suo) golf-resort di Bedminster, in New Jersey, Donald Trump è tornato ieri a parlare di Iran nelle stesse ore in cui Teheran confermava la volontà di aumentare simbolicamente il livello di arricchimento di uranio, strappando – seppur di poche percentuali – il limite concesso dal Jcpoa, l’accordo internazionale che nel 2015 aveva avviato il congelamento del programma atomico iraniano.

IL RUGGITO DI WASHINGTON

“[Farebbero] bene a stare attenti”, ha detto il presidente americano, che ha tirato fuori gli Stati Uniti dall’intesa e ha reintrodotto l’intera panoplia sanzionatoria contro Teheran. Un insieme di misure volte ad attuare la massima pressione contro la Repubblica islamica, per indurla a sedersi nuovamente a un tavolo negoziale, ma da una posizione indebolita dallo strozzamento economico che le sanzioni stesse dovrebbero produrre. Con un rischio, però, l’inasprirsi in Iran delle posizioni oltranziste che avevano già preso quattro anni fa traiettorie avverse all’accordo e che adesso cercano di sfruttare la situazione per dimostrare che, davanti al ritiro americano che ha reso l’impalcatura del Jcpoa traballante, la loro visione aggressiva e reazionaria contro l’Occidente è ancora valida.

“L’Iran sta facendo molte cose negative. L’accordo di Obama (il Jcpoa, che non è stato firmato solo dagli Stati Uniti, ma anche da Regno Unito, Francia, Germania come Ue, Russia e Cina) è stato il più sciocco accordo che riuscirete mai a trovare. È crollato in un periodo di tempo molto breve. […] L’Iran non avrà mai un’arma nucleare”. Affermazioni rimbalzate anche dal segretario di Stato, Mike Pompeo, che su Twitter ha rincarato la dose con termini più specifici: “L’ultima espansione del programma nucleare da parte dell’Iran porterà a ulteriore isolamento e sanzioni. Le nazioni dovrebbero ripristinare il vecchio standard di non arricchimento per il programma nucleare iraniano. Il regime iraniano, armato di armi nucleari, rappresenterebbe un pericolo ancora maggiore per il mondo”. Quando Pompeo parla di “standard”, probabilmente si riferisce a un pacchetto di sei risoluzioni che nel 2006 sono state approvate dal Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite per imporre “al regime di sospendere ogni attività di arricchimento e ritrattamento”. Queste risoluzioni, una volta chiuso il Jcpoa, sono automaticamente decadute perché i cofirmatari dell’accordo con Teheran erano gli stessi membri permanenti del CdS Onu, che hanno agito per altro su delega, e all’Iran è stata proposta come contropartita per la sospensione del programma nucleare l’eliminazione/sospensione delle sanzioni.

LA REAZIONE UE

La decisione iraniana di aumentare il livello di arricchimento è stata accolta negativamente un po’ ovunque – perché è la seconda violazione in poche settimane dell’accordo (prima l’aumento degli accumuli consentiti) e perché è un accorciamento, seppur minimo, dei tempi di break-out, che sono quelli necessari per passare dal nucleare civile al materiale fissile per usi militari; tempi che il Jcpoa ha puntato ad allungare. Oggi l’Aiea ha certificato l’inizio del superamento dei limiti di arricchimento, e il suo portavoce ha detto che il terzo step in questo trend iraniano potrebbe essere la riattivazione di alcune centrifughe e portare l’arricchimento al 20 per cento – aspetto che in quel caso ridurrebbe notevolmente i tempi di break-out. Teheran usa queste decisioni come tentativo per stressare il dossier, soprattutto per spingere l’Europa a creare strumenti di salvaguardia davanti alle sanzioni Usa, ma rischia molto. La Germania ha chiesto all’Iran di tornare indietro (le decisioni iraniane sono di fatto assolutamente reversibili) e di rientrare nei limiti del rispetto del Jcpoa, perché altrimenti non è un partner potabile. Il Regno Unito ha dichiarato che, mentre Londra resta convinta e rispettosa degli accordi, almeno per ora, l’Iran ha “rotto i termini del Jcpoa”: la posizione inglese è importante perché in questo momento la Gran Bretagna è il Paese europeo più vicino ad allinearsi agli Usa, tanto che nei giorni scorsi i Royal Marines britannici sono intervenuti al largo di Gibilterra con un’operazione politico-militare spettacolarizzata per sequestrare una petroliera iraniana diretta in Siria, e pare abbiano agito in coordinamento con Washington.

L’ECCEZIONE FRANCESE E I (POTENZIALI) NEGOZIATI

La Francia ha preso invece sul dossier una posizione (classicamente) eccezionalista. L’Eliseo è stato duro, ha usato il delicato termine legale “violazione” per definire la decisione iraniana di sforare le concessioni del Jcpoa (unico Paese su questa scelta semantica), ma allo stesso tempo il presidente Emmanuel Macron ha avuto una lunga conversazione telefonica con il suo omologo iraniano, a valle della quale si è deciso di aprire la prossima settimana un tavolo di confronto tra i Paesi dell’accordo. I francesi vorrebbero cercare di strappare qualche concessione a Teheran che possa interessare gli americani, e da lì aprire nuovi negoziati che includano Washington. C’è un qualche feedback che arriva da Teheran, in particolare da un settore sensibile come quello dell’intelligence. In una dichiarazione farcita di retorica propagandistica e nazionalista, come ovvio in questo momento, il ministro per la Sicurezza interna (che comanda i servizi segreti) ha detto alla Irna, agenzia stampa ufficiale, che se gli Stati Uniti dovessero decidere di allentare con le sanzioni, l’Ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema nella teocrazia iraniana, ha già dato la sua approvazione a eventuali colloqui con Washington.

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