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Un atteggiamento, un modo di fare politica, dal quale traspare una certa superficialità, al limite della deresponsabilizzazione, che può innescare cerchi sempre più larghi di effetti indesiderati e negativi. Ci troviamo di fronte ad una prassi di gestione delle situazioni complesse, molto lontana da quelle che sono le best practice ormai diffuse e condivise nella comunità dei manager.

Le crisi aziendali non possono essere lasciate irrisolte per tempi lunghissimi, com’è il caso di Alitalia, o affrontate all’interno di quadri regolatori non chiari, come sta avvenendo per l’ex Ilva. Nelle aziende tali comportamenti non sono consentiti e, comunque, sono lontani dalle più normali gestioni manageriali. Anche perché i tempi della politica, oggi, non coincidono con quelli dell’economia, anzi le scale dei valori a volte sono contrapposte.

Un piano industriale, un progetto di un’azienda, si snoda su 4-5 anni per raggiungere l’obiettivo, con una fase di studio accurata per prevederne scenari ed esiti, con finanziamenti certi, con persone competenti dedicate e con comportamenti coerenti da parte di tutti i stakeholder. Al contrario la politica, sempre più spesso, decide su pressione dell’opinione pubblica, con obiettivi di breve e brevissimo termine, in cui le esigenze contingenti – sovente esigenze di cassa e di consenso – prevalgono su finalità di indirizzo politico.

I recenti casi di tassazione delle auto aziendali, di plastic e sugar tax, sono eclatanti esempi di comportamenti miopi e astratti. Le improvvise marce indietro che poi i decisori politici sono costretti a effettuare per evitare clamorosi danni economici e di immagine, rappresentano un ulteriore elemento di incertezza diffusa, di disgregazione del tessuto sociale e inibiscono imprenditori, manager, professionisti nel prendere iniziative e accettare nuove sfide. La politica ingenera così un clima di incertezza giuridica e normativa nel quale le aziende hanno difficoltà crescente a muoversi e a programmare.

Incertezza che ha origine fin dalle scelte di politica economica e industriale del governo. A volte prevalgono ingenui richiami al rispetto delle regole di mercato, che finiscono con lasciare la politica e l’esecutivo muti di fronte a fatti economico-finanziari in grado di provocare pesanti ripercussioni in termini di lavoro, reddito, intero sistema-Paese. Pensiamo all’operazione Fca-Peugeot, o al caso Unicredit-Mediobanca: qual è la posizione (univoca) del governo? Qual è il bene per l’Italia e per gli italiani? Quali sono gli scenari futuri dell’industria dell’auto o della finanza di casa nostra? Altre volte riemerge la tentazione statalista, l’interventismo a tutti i costi, come sta accadendo per Alitalia. Oppure si interviene pasticciando, con spericolate giravolte giuridiche e normative, di cui il caso ArcelorMittal è l’esempio più eclatante, con effetti devastanti per la nostra occupazione e per la percezione dell’Italia fuori dai nostri confini.

I manager sono addestrati a elaborare strategie complesse, calcolandone i rischi, per evitarli o attutirli. Hanno le competenze necessarie a perseguire coerentemente gli obiettivi, a lavorare in squadra, a fronteggiare situazioni di crisi. Inoltre, hanno il ‘polso’ della situazione economica sia a livello locale, lavorando sul territorio, sia a livello nazionale ed internazionale perché i manager sono ormai inseriti in un’economia globale. Questo bagaglio di conoscenze e di saperi è a disposizione del Paese: abbiamo molto apprezzato il dialogo del governo con le parti sociali, e abbiamo sempre portato nei tavoli di confronto, idee, esperienza e proposte. Ed è il momento di infittire questo dialogo e renderlo più stringente, più operativo. Purtroppo, invece il dialogo tra questo governo e parti sindacali sembra essere circoscritto alle sole rappresentanze di impiegati e operai.

La discussione sulla prossima legge di bilancio dovrebbe essere il terreno più consono a questo confronto, augurandoci che l’Esecutivo non si perda in mille rivoli di discussione anche con chi non è rappresentativo di realtà economiche, di professionalità consolidate e di esperienza certificata. Il nostro appello alla classe politica è costantemente rivolto al bene del Paese, alla crescita economica, come unica strada per superare le diseguaglianze e colmare le troppe sacche di arretratezza e sottosviluppo. A queste occasioni istituzionali di confronto, vanno oggi aggiunte le emergenze industriali che stiamo vivendo e che vanno affrontate subito con le necessarie capacità manageriali e con decisioni tempestive e non ambigue. Cida è pronta a fornire questo contributo, ci auguriamo che i tempi della politica, per una volta, coincidano con quelli dell’economia.

Mittal, Alitalia, Fca e Whirlpool. Lo scollamento tra politica ed economia secondo Mantovani (Cida)

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