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Nonostante le rassicurazioni dei mesi scorsi, l’ammissione è arrivata a denti stretti dagli stessi vertici di Huawei. L’inserimento della telco di Shenzhen nella lista nera del Dipartimento del Commercio Usa sta pesando e peserà, e non poco, nel segmento dei device del colosso cinese.

L’AMMISSIONE DI HUAWEI

A dirlo, parlando con il Financial Times, sono stati oltreoceano alcuni manager senior di Huawei, che hanno spiegato che se da un lato sono stati in grado di trovare sostituti per gran parte delle apparecchiature che acquistavano dagli Stati Uniti, dall’altro non hanno trovato opzioni valide (o semplicemente possibili) per i servizi di elaborazione venduti da Google. E che passeranno anni prima che possano sviluppare le proprie alternative.

IL MERCATO DEGLI SMARTPHONE

Huawei è al momento seconda al mondo nel mercato degli smartphone, prima dell’americana Apple e dopo la sudcoreana Samsung. Ma questa posizione potrebbe essere rimessa in discussione proprio dall’impossibilità di usufruire dei servizi di Google.

GLI ALLARMI DEL FONDATORE

A giugno era stato lo stesso Ren Zhengfei, il fondatore della telco, a spiegare che Huawei aveva tagliato di trenta miliardi di dollari le stime dei ricavi per il 2019-2020, fissando le vendite attorno ai cento miliardi di dollari (89,16 miliardi di euro) e prevedendo un crollo del 40% delle esportazioni di smartphone prodotti dal gruppo per il 2019 (mentre dovrebbe contare su una sostanziale tenuta nel mercato interno e in alcuni Paesi asiatici).

I DUBBI DEGLI ANALISTI

Ma già da tempo sono molti gli analisti che prevedono un robusto calo nelle vendite, soprattutto sui mercati occidentali, dove gli utenti prediligono di gran lunga i prodotti e i servizi del colosso statunitense Google, resi inaccessibili dal regime sanzionatorio americano.
Difficilmente Huawei, spiegano gli addetti ai lavori, convincerebbe i consumatori di tecnologia europei e americani a rinunciare non tanto a Android (che essendo open source può ancora essere utilizzato), ma piuttosto all’ampio ecosistema di servizi targati Mountain View: Gmail, Calendar, Maps e la suite di produttività, per citare alcuni dei più celebri.

LE ALTERNATIVE (LONTANE)

Dopo il ban statunitense di Huawei, posto nella Entity List perché considerato da Washington un pericolo per la sicurezza nazionale e un possibile mezzo di spionaggio a beneficio dell’intelligence di Pechino, l’azienda della Repubblica Popolare è sembrata guardare alla Russia per sostituire Android e i suoi servizi. Mesi fa la telco cinese aveva confermato la notizia data da Reuters secondo cui avrebbe studiato come utilizzare Aurora, sistema operativo realizzato dall’operatore statale russo di telecomunicazioni Rostelecom, almeno in attesa che lo sviluppo del proprio software proprietario Hongmeng (o Harmony che dir si voglia) fosse sufficientemente maturo. Ma anche l’uso di quest’ultimo, annunciato recentemente, sembra essere tramontato per il momento, almeno per quanto riguarda i dispositivi che finiranno sui mercati occidentali.

L'insostenibile insostituibilità di Google per Huawei (che perde mercato)

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